Ritratti d’autore

Follower, scritto e diretto da Pietro Dattola, dopo il successo in tournée (Teatro a L’Avogaria di Venezia, Camere d’aria di Bologna,Teatro dei Naviganti di Messina) è tornato in scena a il 6 giugno scorso Teatro Argot come spettacolo fuori concorso della VIII edizione dell’ Inventaria Festival. Ne abbiamo parlato con Flavia Germana de Lipsis, protagonista ed unica interprete dello spettacolo.

Ci può raccontare in sintesi come nasce e si sviluppa il progetto Follower e la sua realizzazione?
Flavia Germana de Lipsis: « Siamo partiti da una riflessione sulle tecnologie social e sull’utilizzo spasmodico e voyeuristico che oggi ne facciamo; guardare e farsi guardare per controllare o avere un accesso controllato, semplificato alla socialità; amicizie facili e numerose, possibilità immediate di recuperare contatti, mantenerli, spiarli, escluderli per i più vari motivi, legittimi o meno. In questo contesto gli incontri sono facilitati, ma le singole relazioni perdono spesso peso specifico. I legami virtuali diventano merce di scambio, oggetto di celebrazione e di auto indulgenza, un’arma a doppio taglio. Di qui la nostra riflessione si è incentrata sulla perdita, quasi un tabù, una non ipotesi nel sistema social in cui tutti sono in contatto con tutti eppure chiunque può essere eliminato, bannato da chiunque.
Cosa significa perdere un rapporto, non averlo più a disposizione, non poterlo più recuperare, non essere più connessi sia nella realtà social, sia in quella reale.
Dallo stravolgimento del presente, dell’abitudine, del conosciuto, come si fa a fare un passo oltre? Come si fa una resa dei conti? Cosa si è disposti a lasciare indietro per andare avanti? Il passato, o meglio, quello che ci fa male del passato, ha una data di scadenza? È solo una storia d’amore che sfiorisce o un mondo intero che, sfiorito, si è sgretolato per mancanza d’amore ed è rimasto barbaro, orfano mostruoso d’affetto? Senza più amore, ci sono cambiati gli occhi, o durante l’amore non avevamo mai visto davvero la forma aspra delle cose?
L’idea di un app Follower è di Pietro Dattola, regista e autore del testo, entrambi abbiamo poi cooperato utilizzandola per mettere a fuoco la storia principale dello spettacolo e il suo tema.  È nato in residenza nel 2017 al Teatro Studio Uno, perfezionato per Inventaria presso Carrozzerie n.o.t. e portato in tournée tra il 2017 e il 2018».

Si rivede in Nina? Se sì in che senso e misura?
FGDL: « C’è sempre qualcosa di irrinunciabile nelle nostre vite. Nina è, o meglio racconta, il gap che c’è tra il momento in cui l’irrinunciabile viene meno e il momento in cui l’irrinunciabile perduto lo digeriamo. In quel passo c’è tutto.  Ispirazione? Identità? Fede? Comprensione? Questo tutto non si spiega, non si manipola: accade.
Di mio, in Nina rivedo l’ostinazione, la fedeltà e l’incrollabile a volte ottusa fiducia che la comunicazione sia sempre possibile, anche tra due sassi. Tagliare i ponti è una delle cose più innaturali a cui l’uomo moderno è chiamato a dare un senso».

Come ha lavorato alla strutturazione e alla relativa interazione sulla scena di Nina e di tutti i personaggi che interagiscono con lei e che lei interpretata?
FGDL: «Dovendo interpretare tutte le figure della storia in prima persona, siamo stati attenti a rendere i passaggi il più fluidi possibile, specialmente durante i dialoghi, per renderli al tempo stesso agili e leggibili. Abbiamo scelto di individuare uno, due elementi al massimo che potessero caratterizzare immediatamente ed esternamente un personaggio. Nulla di eccessivo, ma a ogni modo ogni scelta è stata netta. Così, per esempio, con un solo gesto si rende riconoscibile un personaggio che torna dopo circa 60 minuti di spettacolo. Inoltre, poiché non utilizziamo costumi particolari né scenografie a eccezione di una piccola panchina, tecnicamente si è dovuto lavorare anche sulla direzione degli sguardi e sull’orientamento del corpo situazione per situazione, così da disegnare il più chiaramente possibile le circostanze di riferimento».

Follower sembra cogliere in pieno alcuni aspetti della vita quotidiana, fino a portare all’eccesso e al paradosso la necessità della società contemporanea di vivere perennemente collegati ai social, con tutte le conseguenze che ne derivano. Qual è la sua opinione a tal riguardo?
FGDL: «Siamo degli anemici emotivi, ci portiamo dentro un enorme bisogno di affetto, un’insicurezza atavica e un’altrettanto atavica fame di realizzazione. I social sono la risposta più semplice e a portata di mano per colmare queste insidiose lacune. Così un giochino fatto di algoritmi e istruzioni da seguire diventa uno stile di vita, influenza, condiziona tanto da non poterne fare più a meno. E nasce una nuova dipendenza che fa moda, che fa vita. Così giocando si possono trovare, amori, carriere, gruppi di amici, cose, verità. La soluzione dello stare al mondo è a portata di clic. È inevitabile la sua diffusione. Così come lo fu internet a suo tempo.

Sta sempre a noi la misura; questo è il problema, o la soluzione. Noi, i giocatori, non siamo affidabili, non abbiamo disciplina, meno che meno certezze autonome. Ed è difficile definire le regole durante il gioco. A maggior ragione se queste regole devono darsele i giocatori stessi o chi il gioco l’ha costruito e diffuso perché diventi ragnatela imprescindibile del quotidiano. Si può sempre staccare la spina. Sempre. Fa parte della biologia del nostro organismo umano e del suo istinto di sopravvivenza. Spegnere lo schermo e aprire la porta di casa o guardare in faccia le persone. È solo più rischioso e più salutare. Ma appunto, tocca fare sempre un primo passo».

Come avete lavorato alla fase delle prove e dalla trasformazione dalle parole scritte alle loro messa in scena? Quali sono stati gli obiettivi che vi siete posti per rispettare (o infrangere) l’arco drammaturgico di un testo cosi articolato e destrutturato?
FGDL: «Circa due terzi del tempo sono stati dedicati alla messa a punto di una prima bozza del testo abbastanza estesa poiché avevamo molto materiale in cantiere. Poi abbiamo proceduto ai tagli. Trovata una certa quadratura su carta, siamo passati alle prove vere e proprie, sperimentando l’ordine degli episodi.
Avevamo in mente di non procedere con una narrazione classica, in ordine cronologico, per cui abbiamo inserito flashback e situazioni oniriche, fino a giungere alla versione finale, che è un buon compromesso tra la frammentazione e la linearità nella sequenza dei fatti.
La scelta di far rappresentare diversi personaggi e ambienti a una sola attrice rende lo spettacolo più complesso, ma allo stesso tempo, lo spettatore più smaliziato può cogliere (anche in base alla propria sensibilità) un numero elevato di rimandi e suggestioni interni al testo. Lo spettacolo, in questo senso, è molto denso. Non volevamo rinunciare a questa complessità, tantomeno all’intelligibilità, per cui abbiamo lavorato molto per rendere più diretto l’accesso alla storia vera e propria ».

Cosa riserva a Follower il futuro?
FGDL: «Come dice Nina stessa nello spettacolo, mi auguro di raccontare questa storia ancora e ancora per farci incontrare io e te, io e te, per sempre io e te. Follower è anche e soprattutto un incontro: spero possa avere la fortuna e il merito di essere ascoltato per molto tempo ancora. Perché è una storia che non smette di essere attuale, non smette di crescere e di assumere profondità diverse. Diventa grande con noi ed è catartica: ci appartiene, ci è appartenuta, ci apparterrà. Inoltre Pietro Dattola mi ha già detto di avere in cantiere un ideale seguito, non tanto della storia, quanto del punto di vista tematico. Anche in questo caso l’idea è di unire le nuove tecnologie ad altri aspetti del tema della perdita. Ancora è presto e so poco, ma vi terremo aggiornati!. Voi – e questo è il caso di dirlo- continuate a seguirci! ».

Lo spettacolo è andato in scena in occasione della VIII edizione dell’ Inventaria Festival
Teatro Argot
Via Natale del Grande 27, Roma
6 giugno 2018 ore 21.00

Follower
di Pietro Dattola
con Flavia Germana De Lipsis
regia Pietro Dattola
una produzione della compagnia DoveComeQuando