Grecizzante, raffinata, tragica Francesca

Sotto l’elegantissima direzione di Fabio Luisi, Francesca da Rimini di David Pountney conquista attraverso un’estetica potente ed emozionale. In un incessante battito tra classico e moderno, l’opera di Zandonai ritrova magnificenza ed efficacia nella nuova produzione dl Teatro alla Scala

Sotto lo sguardo malinconico della gigantesca statua grecizzante, l’antico amore proibito del dramma prende corpo e espone il marchio mortifero che ne sarà la propria condanna. La bellezza immacolata della scena iniziale di Leslie Travers subisce, con lo sviluppo dell’intrigo, una violenza penetrante. Il sentimento puro e travolgente dell’amore tra Paolo e Francesca non viene imprigionato ma ferito, mortalmente, dall’ordine e dalla guerra. Sono infatti questi due poteri che infliggono quelle lesioni che condannano e cristallizzano nel mito la storia d’amore, riscritta da D’annunzio e dallo stesso Zandonai all’inizio del Novecento. La violenza penetra nell’idillio: ecco l’irrompere della realtà nella sua forma tumorale dell’ingiustizia feroce. Le lance trafiggono la purezza della scultura delicata ed accogliente (grazie anche all’inserzione in una struttura concava che culla lo sguardo dello spettatore) proprio come la spada calata dal cielo trapasserà, da parte a parte, i corpi degli amanti, consegnandoli alla morte e all’olimpo del sentimento amoroso. In questa nuova produzione scaligera della Francesca da Rimini, l’aspetto lirico assume un valore capitale. La purezza marmorea della scena iniziale si sposa perfettamente con quella immacolata delle vesti di Francesca, Samaritana e di tutto il coro femminile. Le donne, avvolte in purissime vesti greche marcano l’abisso che le separa dal gruppo degli uomini di Ostasio. Nerissimi, bardati di morte e di violenza, essi sembrano provenire da qualche frangia cavalleresca medievale, portatrice di repressione e squadrismo. La loro apparizione, nel secondo atto, invoca un’inversione della scenografia. Ecco, dunque, che si attiva un’evaginazione dell’elegantissimo gineceo per instituire una struttura convessa, nerissima, pullulante di cannoni. I guelfi ed i cori impressionano qui per la loro presenza scenografica e per l’imponente aspetto vocale che liberano (la giusta ovazione per il direttore Bruno Casoni prima dell’intervallo diviene quindi gioiosa obbligazione).

In questa violenta opposizione bicromatica, una linea di fuga si inserisce tra i due universi, separandoli per sempre e marcando, con la propria potenza luminosa, il destino fatale della storia. Paolo Malatesta appare sul finire del primo atto: pura luce, il suo emergere è annunciato dal bellissimo coro delle donne. Celebrando l’aspetto kitsch, Paolo mostra che un’altra via è possibile in questa dualità tra tutto bianco e tutto nero. Ma questa celebrazione vitale è fatalmente portatrice del lutto che la condanna. Come per Tristano e Isotta, Aida e Radames, l’amore potrà esprimere la propria libertà in un’altra dimensione che inizia là dove la separazione tra vita e morte viene marchiata con la violenza del dato reale.

Maria José Siri ha interpretato una straordinaria Francesca. Elegantissima, se la sua entrata si fa nella più grande delicatezza, la temperatura volge a riscaldarsi nel dialogo con Samaritana (Atto I, scena quinta). La sua voce si sviluppa in una calda rilassatezza e la scelta ci pare più che azzeccata. Un tepore che accoglie e abbraccia come quello materno. Sarà necessario attendere il terzo atto per cogliere un innalzamento del gradiente drammatico e la Siri giunge qui al sublime. Grandissima interprete, la soprano uruguaiana è impeccabile e si conferma come una delle più belle e più sicure voci in circolazione.

Spesso al suo fianco, la Samaritana di Alisa Kolosova è piena e circolare, fresca e nervosa al bisogno. L’ottima interpretazione della mezzosoprano moscovita è accolta molto positivamente dal pubblico scaligero, proprio grazie a quell’apporto vitale che dona mordente ai dialoghi dell’opera.

Marcelo Puente è stato un Paolo lirico, arioso e mai soffocante. Interprete attento e sensibile, il tenore argentino si conferma un raffinato scultore dei moti d’animo grazie al suo finissimo carattere e ad un lavorio di raffinata enfasi. Nel ruolo di Ostasio Ashley David Prewett sostituisce au pied levé Costantino Finucci. Se l’articolazione verbale si dimostra buona, egli s’incaglia saltuariamente sulla dizione. Ma nulla toglie bellezza alla vellutata presenza vocale: lontano dall’imporsi come puro corpo negativo, il basso americano entra delicatamente nell’opera per accorpare il casus belli della storia.

Il baritono Gabriele Viviani ci ha conquistati grazie al timbro aperto ed epico, una vera delizia per l’ascoltatore. Nobilissimo, cinto in vesti pseudo-fasciste, Viviani si impone con un carattere potente e con una presenza vocale e scenica impressionante. Il fratello, Malatestino, ha subito un trattamento puntuale grazie e Luciani Ganci, tenore romano in grande ascesa. Pericoloso, minaccioso, egli sembra uscito dal Salò di Pasolini e la sua voce pare estroflettere il dramma che prende corpo.

Il direttore Fabio Luisi guida con infinita eleganza i suoi musicisti e cantanti, attentissimi e in grado di stringere il fare drammatico con straordinaria e sensibile efficacia. Una direzione concreta che sottolinea, senza mai eccedere, sull’aspetto epico del dramma e che mantiene il tutto all’interno di limiti storicamente sensibili.

Spettacolo visto mercoledì 18 aprile 2018

Lo spettacolo va in scena:
Teatro alla Scala
Via Filodrammatici, 2 – Milano
orari: domenica 15, mercoledì 18, sabato 21, giovedì 26 e domenica 29 aprile 2018 ore 20, mercoledì 2, domenica 6 e giovedì 10 maggio 2018 ore 20, domenica 13 maggio 2018 ore 15

Il Teatro alla Scala presenta:
Francesca da Rimini
tragedia in quattro atti di Gabriele D’Annunzio
libretto di Tito Ricordi
musica di Riccardo Zandonai
prima rappresentazione assoluta: Torino, Teatro Regio, 19 febbraio 1914
nuova produzione Teatro alla Scala
direttore Fabio Luisi
regia David Pountney
scene Leslie Travers
costumi Marie-Jeanne Lecca
coreografia Denni Sayers
luci Fabrice Kebour

Francesca    Maria José Siri
Paolo il bello   Marcelo Puente
Giovanni lo sciancato   Gabriele Viviani
Malatestino dall’Occhio  Luciano Ganci
Samaritana   Alisa Kolosova

coro e orchestra del Teatro alla Scala
maestro del coro Bruno Casoni

durata: 2 ore e 55 minuti intervalli inclusi

www.teatroallascala.org