L’altra faccia del teatro contemporaneo

Franco D’Ippolito. Direttore artistico del Teatro Metastasio, Stabile della Toscana, da circa un anno, ha diretto il progetto Teatri Abitati, rete delle residenze teatrali pugliesi e una tra le punte di diamante del nuovo fare teatro. Un uomo che ha le idee ben chiare circa le proprie responsabilità e che rivendica la scelta di preferire la qualità alla quantità.

1) Quali sono le problematiche che deve affrontare chi produce teatro contemporaneo fuori dagli ex Stabili?

2) Quali dovrebbero essere i parametri e i principi di una Legge quadro sul finanziamento della produzione teatrale dal vivo che risponda alle esigenze delle Compagnie off?


Franco D’Ippolito
: «Una delle priorità, banalmente, è semplificare il sistema. Questo cosa significa? Diciamo che ho fatto un sogno. E ho sognato il testo del Codice dello Spettacolo dal vivo. Del resto, i sogni ci servono per andare avanti. Ho sognato un Codice semplice e chiaro, che non cerchi di definire cosa bisogna fare (e come bisogna farlo) per accedere ai finanziamenti pubblici. Perché, secondo me, i finanziamenti pubblici dovrebbero derivare dalle diverse funzioni che i differenti soggetti del teatro italiano sono chiamati ad assolvere, affinché si giustifichino detti finanziamenti nei loro confronti. Definire le funzioni significa sostanzialmente – e qui semplifico – che lo Stato, ossia colui che eroga il finanziamento pubblico, dica in maniera chiara, semplice, univoca e differenziata, che i teatri nazionali debbono assolvere a una serie di funzioni precise; i teatri di rilevante interessante culturale – e uso la terminologia attuale – ad altre; i centri di produzioni, ad altre ancora; e così via con le compagnie di giro, eccetera. Nella realtà, la situazione è più complessa. Ma semplificando, diciamo che una volta definite queste funzioni, che sono ciò che lo Stato si aspetta da quel soggetto al quale riconosce un’etichetta e un finanziamento, occorre che lo stesso determini anche le dimensioni di attività, differenziandole. All’interno di questa cornice normativa, lo Stato, però, deve lasciare che i soggetti lavorino in totale autonomia e libertà. Cosa intendo? Faccio l’esempio del finanziamento alla multidisciplinarietà. La normativa attuale pretende di normare la produzione di uno spettacolo fissando ogni dettaglio, anche il più specifico, secondo percentuali esatte. Esistono documenti del Coordinamento delle Regioni che esprimono la mia stessa perplessità in materia e che, ovviamente, vista l’attuale normativa Fus, non sono stati presi in considerazione. Perché le Regioni avevano fatto un ragionamento semplicissimo: è evidente che se pensate addirittura di normare la multidisciplinarietà, la stessa rappresenta un valore. E su questo siamo tutti d’accordo. Ma se rappresenta un valore e non un modo di fare teatro più coerente o efficace, quando si riconosce che i soggetti teatrali devono svolgere prevalentemente (e prevalentemente, in italiano, significa per il 50,1%) attività di teatro di prosa, si deve ammettere anche che per quell’altro 49,9% gli stessi soggetti devono poter operare in completa libertà».