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Con Freier Klang Claudio Morganti ci invita a un concerto particolare. A Fuori Luogo La Spezia si sfiorano attimi di grazia

Come in un dialogo socratico, nell’accostarsi al lavoro di Claudio Morganti la prima cosa da fare è capire che cosa si intenda con i termini che sono utilizzati. Il confronto con il suo teatro e le sue ricerche, il dibattito che ne scaturisce, portano a prestare attenzione ai presupposti della discussione, ossia al problema delle definizioni e, quindi, soprattutto alle aspettative con cui si entra in sala.
Il teatro è un modo di lavorare col tempo, lo fa l’attore al posto dello spettatore, che delega a lui una specie di missione. Il teatro ha a che fare (e deve avere a che fare) con la poesia e l’arte. Tutto questo si evince leggendo le sue riflessioni. Ma in cosa consiste quest’arte, viene da chiedersi. Si potrebbe provare a rispondere che consiste nel tessere il tempo, piegarlo, intrecciarlo, tenderne i fili, giocare con il suo ritmo.
Utili sono i riferimenti di Morganti a quel tipo di jazz che è fondamentalmente improvvisazione, un suonare sul momento, che non è pensato per ritornare, per ripetersi. Così come il musicista studia, ma deve poi liberarsi del suo strumento, intendendo con questo tutto lo studio precedente e il condizionamento che comporta (Morganti cita un noto jazzista a tal proposito) per inseguire la musica nell’attimo, mentre suona dal vivo; così anche per l’attore (aldilà della preparazione e dello studio), durante l’incontro col pubblico, c’è solo materia e gioco con la propria materia, per scolpire l’accadere.
Talvolta le sue opere sono state accusate di autoreferenzialità. Ma con Morganti il teatro non parla di sé. Il teatro accade, avviene davanti gli occhi di chi guarda. Si tratta di un fare, di un accadere. Un vivere. Ovviamente, assumendo la definizione morgantiana di teatro (se non la si accetta, se si intende al contrario il teatro come narrazione o spettacolo, perché discuterne ancora?).
Questo teatro ha aspetti fondamentalmente esperienziali. Nei due significati del vivere un’esperienza: dell’affidarsi agli attori con fiducia (e si tratta, in ogni caso, di un’esperienza difficile in partenza), ma anche del riuscire a sentire, riconoscere, richiamare qualcosa da dentro che si è in qualche modo già sperimentato nella vita. Tutto ciò non si può spiegare, si sente quando accade.
Ma allora, a chi non lo capisce o concepisce, come spiegarlo?
Freier Klang è un concerto (e che concerto, viene da dire). Anche semplicemente da un punto di vista strettamente musicale si rimane affascinati dall’opera. Eppure non si tratta solo di questo. Non è soltanto musica, piuttosto è musica per lo strumento “attore” che suona il corpo, i gesti, la voce, le parole – cui si aggiunge anche l’improvvisazione di veri e propri brani musicali.
Nel complesso, il lavoro si suddivide in due momenti: dopo aver suonato alcuni pezzi, i tre musicisti salutano il pubblico, chiudono il concerto propriamente musicale, e passano a una sorta di bis, un concerto di parole. Se all’inizio si rimane un poco fuorviati dall’uso della parola al posto dei suoni (perdendosi un po’ alla ricerca di un significato o di un filo discorsivo nascosto), a breve si smette di cercare un senso e ci si abbandona. Come lo svolgersi di un’opera lirica in bilico fra recitativi e arie, i suoni/parole alternano momenti di “canto” più disteso ad altri più recitati.
I due momenti, concerto e bis, sono un’esplorazione, un abitare zone sospese, degne della più seria arte dell’attore (sempre secondo il dizionario di Morganti). L’arte di piegare il proprio corpo, senza ego. L’arte di essere al servizio. Della musica, della materia, del ritmo, del tempo.
Tuttavia, tornando alle riflessioni precedenti: chi non sa, può riuscire ad apprezzare un lavoro come questo? Probabilmente sì. Nella sua apparente assurdità, Freier Klang resta tranquillamente godibile: i tre performer (Pennacchia, Stetur e Licatalosi) sono paradossali, comici e divertenti. Accessibili – si potrebbe dire. Qualcuno, a proposito, ha parlato di ironia. Francamente, di ironico non abbiamo visto molto. Abbiamo visto piuttosto suonare: il respiro, le parole, gli oggetti. Tessere il ritmo: sentirlo tendersi e allentarsi.
Anziché di ironia si potrebbe parlare di autoironia. Non quella che serve a prendere le distanze da sé e a ridere di sé, bensì quella che erge un muro fra sé e gli altri, per separare la serietà del proprio lavoro dall’osservatore. Quell’autoironia che mette uno schermo, una protezione rispetto a chi non vuol capire, per blandirlo, coccolarlo, illuderlo. In definitiva, liberarsi di lui.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Fuori Luogo:
Centro Giovanile Dialma Ruggiero
via Monteverdi, 117 – La Spezia (SP)
giovedì 24 novembre, ore 21.15

Esecutivi per lo spettacolo/Claudio Morganti presentano:
Freier Klang
di Rita Frongia e Claudio Morganti
con Francesco Pennacchia, Gianluca Stetur e Sergio Licatalosi