Tra «fottuti idioti» e «stronzi di merda»

Al Teatro Studio Uno di Roma, Fuckin’ Idiot è il disperato grido di un semplice ragazzo, proveniente da un monolocale con la TV sempre accesa e il Dio del calcio a guardare da tutt’altra parte.

La storia è presto detta. Sandro è un ragazzo in uno squallido monolocale. Sono le tre di notte e sta seguendo la diretta di una TV locale sull’imminente cessione di un giocatore della sua squadra. Il suo monologo è di fatto un corpo a corpo di parola. Contro chi? Contro il presidente della sua squadra che lo mette nel mucchio di chi non ha nulla a che spartire con la tifoseria buona, e naturalmente contro i suoi personalissimi fantasmi. Ci sono quelli buoni: Maradona bambino palleggia su un arido campetto periferico; Di Stefano gigioneggia col pallone come un bellimbusto; Johan Cruijff entra in campo col figlio Jordi. Alle immagini romantiche di bellezza calcistica seguono quelle di violenza sugli spalti, e in campo: ecco i cattivi fantasmi. Un corpo di donna in una posa oscena cade poco prima della vena di Fabio Cannavaro, bucata dal Neoton alla vigilia della finale Uefa del 99.

Le immagini del calcio e della violenza che lo circonda sono entrambe di una bellezza accecante, seppure di segno opposto, oscillanti in un pendolo continuo tra eros e pornografia, tra legame (di coppia, di squadra, di amore) ed eccitazione compulsiva. È Sandro stesso a dirlo. «Cosa ci fa stare meglio? (1) L’amore; (2) La violenza; (3) Non c’è». Mancando un essere umano d’amare (non c’è), questa energia è spinta a forza verso un’anonima squadra di calcio che non può corrispondere alle aspettative di un ragazzo stretto nella morsa di una solitudine fredda come il vetro. I suoi furiosi scoppi d’ira sono diretti al frigorifero, responsabile di non mantenere fredda la birra, che inevitabilmente scende alla tiepida temperatura del piscio. Sandro, mancante del sentimento di unione al mondo e a sé stesso, per sentirsi vivo ha necessità di uno stato di perenne di eccitazione, tenuta viva dal linguaggio (il turpiloquio che usa pare una sorta di rosario dissacrante) usato come un graffio contro un Dio che si mostra sempre a qualcun’altro, forse ai campioni superpagati ai quali invidia questa supposta conoscenza.

Lo slang osceno rimane sospeso quando una voce registrata lo interrompe, allora è proprio il morso che gli divora la carne a parlare in un eloquio solipsistico: «Abbandonare l’idea della sfortuna – Non sei sfigato, sei uno – Ne ho di cose da mangiare raccolte nei luoghi più biechi – è la mia provvista». La pièce lascia una sensazione di leggera confusione tra i due registri scenici, quello della furia iconoclasta e quello del flusso di coscienza che cerca di metterla in parole, come se entrambi cercassero i tempi giusti di entrata e di uscita. Rimane il fatto che Sandro cerca di resistere alla sua definitiva trasformazione in potenza demoniaca. «Essere meno di me» esclama, che è a dire: non essere più me, essere una forza che sommerge tutto, distrugge tutto.

La struttura drammaturgica del monologo è sempre a rischio di lasciare il personaggio a una deriva astratta, poco incarnata. Gli autori sembrano fornire poche vie d’uscita teatrale alla rabbia che esprime e che tuttavia cerca un interlocutore narrativo. Potrebbe essere la vicina di casa che batte sul muro per protestare contro la TV troppo alta? Che padre ha avuto Sandro? Lo portava allo stadio? In che modo, la società e il potere istituzionale (più volte citati nelle note di regia) sono coinvolti e hanno responsabilità? Tutto questo rimane fuori dalla scena, costringendo il protagonista ad avere come polo consolatorio della propria dialettica un anonimo giornalista TV, o il proprio frigorifero. Il ragazzo non è un fucking idiot (fottuto idiota), ma tutto il suo isolamento al limite della psicosi sembra confermarlo. La parola “idiota” deriva dal greco, e designava colui che fa vita privata, isolata e lontana dal pubblico. In questo senso risponde perfettamente al personaggio, lasciando il pubblico esposto a un nodo umano tutt’altro che idiota ma che narrativamente non si allenta mai. Sappiamo che è solo un ragazzo che aveva un sogno, quello di diventare un grande calciatore, ma gli occhiali gli cadevano sempre, e così si è arreso da subito a non guardare il mondo con la necessaria fiducia per essere corrisposto.

Se il personaggio non ha questa fiducia, la deve avere il teatro. Gli autori costruiscono l’opera come una bomba teatrale a innesco da cui il pubblico viene travolto. Questa energia dirompente potrebbe forse essere meglio contenuta da uno sviluppo dei personaggi (anche quelli che non ci sono) capaci di rappresentare una dialettica, in modo da non lasciare solo il protagonista, almeno tra le mura “aperte” di una sala. Fuckin’ Idiot è un’opera forte sulla lotta perenne tra Eros e Thanatos che si dividono il corpo di un ragazzo, con in mezzo un pallone a compiacere ora l’uno ora l’altro. La speranza è che qualcun altro irrompa come una benedizione dentro un mondo chiuso, idiota, offrendosi a una dialettica per fantasmi di morte. Se non sarà un essere umano, che lo sia almeno il teatro.

Lo spettacolo continua
Teatro Studio Uno

Via Carlo della Rocca 6, Roma
dal 10 al 20 dicembre 2015
orario: da giovedì a sabato ore 21, domenica ore 18

Justintwo presenta
Fuckin’ Idiot
di Federico Cianciaruso, Cristiano Di Nicola, Simone Giustinelli
drammaturgia di Sonia Di Guida
con Federico Cianciaruso
scena Cristiano Di Nicola
regia Simone Giustinelli
assistente alla regia Serena De Siena
assistente scenografa Antonia D’Orsi
installazione video Cristiano Di Nicola, Federico Palmerini
foto di scena Simone Galli
voce del presidente Marco Giustinelli
voce del conduttore Fabio De Stefano
installazione grafica Sofia Rossi
ufficio stampa Stefania D’Orazio
una produzione Justintwo
vincitore del bando di residenza produttiva presso il Teatro Studio Uno
media-partner Saltinaria.it, Radio Libera Tutti
con il sostegno di Federsupporter, La Platea, L’Ultimo Nastro di Krapp
progetto di critica residente in collaborazione con Persinsala