Cantata per giorni di… stepchild adoption

Come nella migliore tradizione eduardiana, si torna a parlare di famiglia e del rapporto genitori/figli – Geppetto e Geppetto è il nuovo volto di Filumena Marturano.

Probabilmente qualcuno arriccerà il naso per il paragone forse azzardato tra l’ultimo lavoro di Tindaro Granata (che avevamo applaudito con convinzione già anni fa in Antropolaroid) e uno tra i titoli culto di De Filippo, eppure tale non ci pare, sia a livello di struttura drammaturgica sia di portata della tematica di fondo.
Ovviamente i tempi cambiano ma le domande restano le medesime: il figlio è colui che si genera o quello che si cresce e accudisce? E il genitore è uno spermatozoo scaltro o una cellula uovo cotta a puntino, oppure quell’uomo o quella donna che si alza alle tre del mattino perché il pupo frigna come un indefesso che abbia scambiato il giorno con la notte, infischiandosene se il malcapitato genitore debba andare al lavoro? Anche nelle cosiddette famiglie eterosessuali con mammina e papino stile mugnai del Mulino Bianco, queste domande non cambiano. Checché se ne blateri stando ritti come pali di fronte a chiese o in qualche talk show della nostra tv spazzatura, pure i papà etero e le mamme etero hanno i loro problemini. Se così non fosse, non si registrerebbe un femminicidio ogni tre giorni, se così non fosse i bambini non vivrebbero da sempre in famiglie allargate – composte, ieri, da zie zitelle e nonne bulimiche e, oggi, da secondi mariti e terze mogli (o viceversa, per par condicio).
Ecco, quindi, che diventa urgente per il teatro confrontarsi con la nostra realtà e raccontare – dal concepimento all’età adulta – la vita di un bambino, figlio di una coppia dello stesso sesso. Adottando tutti i punti di vista, da quello dei genitori a quello della succitata nonna, e le possibili prese di posizione; e cadenzandoli con i passaggi della vita che, oltre la staccionata del solito mulino, possono includere la malattia, la morte, l’abbandono, la rabbia per quell’abbandono, l’invidia per l’erba del vicino (leggasi, la famiglia dell’amico è sempre migliore) e il solito psicanalista freudiano con tanto di risposta preconfezionata.
Granata costruisce un impianto drammaturgico solido – e molto alla Natale in Casa Cupiello – con una prima parte all’insegna del riso, una centrale dove i nodi dell’esistenza paiono aggrovigliarsi impastandosi di sofferenza e incomunicabilità, e un finale à la Luca e Tommasino.
A parte qualche verbosità nelle spiegazioni tra padre e foglio che, sappiamo bene, la vita non ci riserva; e una certa vaghezza nella costruzione del rapporto tra Matteo ventenne e i suoi coetanei – visti più come gli enigmatici adolescenti che sfuggono all’occhio adulto che non con la comprensione sottile e multisfaccettata che Granata dimostra verso le figure adulte – per il resto il dramma denota una compattezza e una ritmica interna difficili da eguagliare nei testi contemporanei. Nel solco di un teatro necessario, che fa riflettere e sorridere.
Un plauso a parte per l’eccellente interpretazione di Paolo Li Volsi e a quei direttori artistici che hanno ancora il coraggio, come al Rifredi, di mettere in scena non solo monologhi ma anche lavori corali.

Lo spettacolo continua:
Teatro di Rifredi
via Vittorio Emanuele II, 303 – Firenze
fino a sabato 4 novembre, ore 21.00

Geppetto e Geppetto
scritto e diretto da Tindaro Granata
allestimento Margherita Baldoni
movimenti di scena Micaela Sapienza
con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea e Roberta Rosignoli
luci e suoni Cristiano Cramerotti
coproduzione Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res

Foto: Patrizia Lanna