Empatia e riflessioni interrotte

Al Teatro India, overbooking per l’acclamato, ma incompiuto, Geppetto e Geppetto

Di Tindaro Granata, ormai una bella realtà del panorama artistico nazionale, avevamo intuito le potenzialità fin da Antropolaroid, sua prima firma in veste di drammaturgo, regista e attore. Ne abbiamo, poi, continuato ad apprezzare il percorso da protagonista emergente della scena contemporanea (Invidiatemi come io ho invidiato voi) e, per questo, per il coraggio delle scelte e per la qualità degli allestimenti, erano alte le aspettative che circondavano Geppetto e Geppetto, spettacolo capace di fare incetta di premi sia tra gli esperti (Ubu 2016) che tra il pubblico (Premio Hystrio-Twister 2017), finanche alle maestranze (Premio Nazionale Franco Enriquez 2017)

L’eccellente gestione di registri interpretativi capaci di giocare con la ricerca della risata catartica e della riflessione, nonché di attraversare immedesimazione psicologica, intesa emotiva e alienazione tra recitare e recitato, la sontuosa intesa tra lo stesso Tindaro Granata (Luca) e Paolo Li Volsi (Toni), la cura nella scelta dei dettagli scenici (stranianti sia nelle didascalie simultanee dei tre contesti in cui l’azione verrà a svolgersi, sia nell’indicazione del nome di ogni personaggio su un completo total black) sono suggestioni di limpida efficacia che Granata mostra di saper padroneggiare con grande esperienza e che avevamo già ammirato, in altra modulazione, in occasione di Chi resta. Convince, infatti, aver caratterizzato anche Geppetto e Geppetto con la doppiezza delle maschere teatrali e la metaforica semplicità delle scene e dei costumi, con la ricerca antropologica («parlare di una famiglia di due uomini o donne, un nuovo tipo di famiglia ormai tipico della nostra società») e l’accurata costruzione preparatoria attraverso interviste sociali. Sorprende, soprattutto e positivamente, l’aver elevato l’ambizione di «dare voce ai dubbi e non alle certezze» rispetto a una tematica di estrema attualità fino a una dimensione prima sociale e poi individuale.

Dal tema della paternità, «tentando di andare più a fondo per scoprirlo, per scavare in profondità questa complessa immagine», Granata lascia, difatti, emergere non solo la questione dei rapporti umani (la maestra costretta a difendere il piccolo alunno con due papà), ma addirittura quella dell’autoaccettazione. Sublimando nelle angoscie di Matteo adulto una questione cruciale per ogni essere umano, in particolare in un periodo storico in cui la crisi viene indotta con invasiva sottigliezza nelle coscienze globalizzate (oltre che nell’economia, of course), Geppetto e Geppetto intravede tra le pieghe delle proprie potenzialità una critica al modello di una società mediatica fondata gerarchicamente non tanto sul riconoscimento sociale eterodiretto, quanto su un drammatico processo di autoetichettamento, ossia sull’incapacità di confrontarsi autenticamente con se stessi e di accogliere in maniera inclusiva quanto (auto)riscontriamo di positivo e negativo in noi stessi (nonostante i livelli medi di istruzione superiore, anche classica, raggiunti siano ormai elevati, quindi con buona pace di ogni ottimismo umanista e di ogni acritica fiducia nel valore formativo del nostro illustre passato).

Senza voler imporre una logica manichea e semplificatoria, Granata riesce ad affrontare teatralmente un fenomeno sfaccettato, dando dignità e legittimità a tutte le posizioni in essere. Dall’amica eterosessuale (Raffaella Tagliabue) alla madre di Toni (Roberta Rosignoli), dai figli di serie A (Lucia Rea) a quelli di serie B (Angelo Di Genio), offrendo coerenza per generalizzare la tematica, Geppetto e Geppetto promuove, almeno in nuce, l’opportunità di comprendere quanto il problema (della genitorialità e dei diritti civili) sia radicale, quanto esso non possa essere preso alla leggera (da nessuna parte lo si guardi) o, per come investe l’intimità di ogni essere umano, lasciare indifferenti.

Peccato, quindi, che tali virtù rimangano quasi esclusivamente confinate nella prima parte di Geppetto e Geppetto, la quale, oltre a scorrere meravigliosamente scevra di inutili verbosità e macchiettismi, oscilla con maestria tra la riflessione indotta dallo straniamento e l’empatia promossa dall’immedesimazione e dall’ironia, complice anche una restituzione testuale perfettamente calzante nell’identificare il linguaggio con il carattere del proprio rispettivo personaggio attraverso una cadenza dialettale non marcata ma realistica (esemplare nel caso dell’ansiosa e saggia madre del sud).

Tuttavia, a partire dalla morte di Toni, quello che era un affresco impressionistico, una tela drammaturgica in cui a essere riprodotta non era l’unica verità possibile di chi vede l’omosessualità contro o conforme natura, ma le molteplici interpretazioni rispetto alla tematica in questione, Geppetto e Geppetto scende in campo assumendo le vesti di un melodramma strappalacrime in cui il vittimismo, pur mai raggiunto, viene pericolosamente ad annunciarsi.

La morte del padre biologico conduce significativamente alle devastanti conseguenze dell’incomunicabilità un contesto familiare fino ad allora felice, ma il percorso che porta allo scioglimento, culminato con la confessione di Matteo di fronte al capezzale di un Luca ormai vecchio e malato, assume i contorni e l’inconsistenza della fiction, di una forzatura concessa al desiderio di esaustività che si palesa, per esempio, nel pedante, dunque inutile, inserto della lite tra adolescenti, momento dialetticamente povero e in cui a reggere un tasso attorale, fino a quel momento prezioso, rimane la sola, splendida Lucia Rea.

Il non discernere debolezze, limiti e paure lascia sprofondare Matteo in un vortice di pensieri negativi, a una critica che non risparmia neanche quel padre (Luca) al quale pure riconosceva, in un dialogo generazionale di precaria credibilità, l’essersi sacrificato totalmente per non fargli mancare niente. Sfociando nella continua accusa verbale al padre e agli amici (una declinazione inconscia davvero fuori luogo, anacronistica e per nulla temperata dall’ironica ammissione finale di aver mentito al proprio psicanalista freudiano) e punendo Luca, Matteo punirebbe, in sostanza, costantemente la propria anomalia rispetto a uno standard che egli stesso identifica come normale.

Geppetto e Geppetto, in tutto e per tutto un sentito e riconoscente omaggio alla legge Cirinnà sulle Unioni civili, la cui promotrice era presente alla prima romana con tanto di posto riservato, sembra, allora, tendere al limes delle stesse contraddizioni di un atto legislativo che, scimmiottando un apparente riconoscimento, non parlando di famiglia ma di formazione sociale specifica (definizione che priva dell’adesione alla linea familiare del coniuge sia il compagno o la compagna, sia i bambini e le bambine, che avranno così meno diritti di chi nato da matrimonio naturale) e rimandando alla costosa e per nulla garantita decisione di un tribunale la possibilità di avere due genitori per figli/figlie di una coppia dello stesso sesso, si mostra in realtà quale gentile concessione dall’alto di chi detiene la normalità (l’eterosessualità). Concessione che di fatto non supera alcuna discriminazione se non nascondendola sotto il tappeto dell’ipocrisia, deriva che Geppetto e Geppetto, fortunatamente, evita, mostrando di patire solo dal punto di vista scenico e non d’intenzione una presa di coscienza purtroppo giunta a metà del guado.

citazioni tratte dall’intervista a Tindaro Granata di Monica Canu.

Lo spettacolo continua
Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman, 1
dal 24 al 28 gennaio 2018
ore 21.00, domenica ore 18.00

Geppetto e Geppetto
scritto e diretto da Tindaro Granata
con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli
regista assistente Francesca Porrini
allestimento Margherita Baldoni
luci e suoni Cristiano Cramerotti
movimenti di scena Micaela Sapienza
foto di Patrizia Lanna
durata 105′ senza intervallo