אלי אלי למה שבקתני

Una domenica sera qualsiasi, il sipario del Teatro Eliseo si squarcia come il velo del tempio, svelando i segreti del Ghetto di Mario Piazza. La danza è morta, e non c’è ombra di teofania.

Nonostante l’esaustivo prolegomeno istituzionale, i costumi semitici, la martellante musica Klezmer e una profusione di kippah sia sul palco che in platea, lo spettacolo andato in scena in via Nazionale sotto lo sguardo riverente del direttore artistico Barbareschi Luca non ha avuto niente a che vedere con la cultura ebraica né tantomeno con la danza contemporanea.

Scenografia inesistente, luci pressoché fisse su qualsiasi scena, musiche di accompagnamento rigorosamente non funzionali alla scrittura coreutica e, ciliegina sulla torta, una miriade di danzatrici e danzatori acerbi sparati a tutta velocità contro la quarta parete che, per rispetto delle suddette eminenze in sala, si sarebbe dovuta tingere di rosso-sipario a pochi minuti dall’inizio della performance.

Lo stillicidio di sequenze trite e ritrite, narrativamente a metà tra il criptico e il vuoto pneumatico più assoluto, dovrebbe accompagnare il pubblico dentro il ghetto che, per l’occasione, assomiglia però a una strada di New York piena di gai ballerini anni ‘50 intenti a salterellare e scontrarsi a mezz’aria tra di loro, incapaci di contenere l’entusiasmo da palcoscenico. Da copione, si dovrebbero vedere le tribolazioni pre-deportazione di una giovane coppia fresca fresca di mazel tov matrimoniale e invece si vede lui tutto preso da una strana relazione amorosa/fraterna con il rabbino capo (rubato a Bollywood) e lei… Lei non si vede.

Dopo un’ora e venti minuti, ci si chiede quale merito sia stato riscontrato nel Ghetto di Mario Piazza, «premiato con uno dei più importanti riconoscimenti per le Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture a Londra». Il sedicente spettacolo ha il sapore di un saggio di fine anno e gli allievi dell’Accademia Nazionale di Danza che fanno a gomitate pur di rifulgere di luce propria e accaparrarsi gli applausi automatici di ogni singolo cambio di scena (leggasi buio/luce) non aiutano certo a darne un’altra idea.

Le celebrazioni del Giorno della Memoria si chiudono così, con un inno compiaciuto alla mediocrità.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Eliseo

Via Nazionale 183 – Roma
07 febbraio 2016, ore 21:30

Ghetto
regia e coreografia Mario Piazza
con gli studenti dell’Accademia Nazionale di Danza
musiche Kletzmer e Goran Bregovich