Nell’immobilità fisica totale, la mente vaga senza sosta per rimanere viva e ottimista

franco-parenti-teatro-milano1Con Giorni Felici, il suggestivo e difficile testo di Samuel Beckett rivive sul palcoscenico del Teatro Franco Parenti grazie a Nicoletta Braschi.

«Un altro giorno divino».
Immersa fino alla vita in un monticello di terra, Winnie apre gli occhi a un nuovo giorno, svegliata dall’impietoso trillo di un campanello che risuona da un punto non precisato fuori dalla scena.
Questo è il segnale d’inizio di Giorni felici, complesso dramma in due atti scritto da Samuel Beckett nel 1961 e portato sul palcoscenico del Teatro Parenti dal regista Andrea Renzi. A interpretarlo, un’intensa Nicoletta Braschi, affiancata da Roberto De Francesco.
Sorge così l’alba di una nuova giornata da vivere in cui Winnie, la protagonista dell’opera, si impegnerà con tutta se stessa per trovare il modo di riempire ogni istante, ogni momento con gesti e parole tanto inutili quanto rassicuranti. Perché la sua mente vacillante trova conforto nei gesti comuni, nei piccoli riti quotidiani che riescono a restituire significato e una falsa pienezza a un’esistenza che altro senso non avrebbe se non attendere la fine. Accanto a lei, una borsa le fornisce tutto ciò di cui ha bisogno, tra cui un paio di occhiali, un pettine, uno spazzolino da denti, uno specchio, un rossetto. Qualunque cosa accada, ripete tra sé fiduciosa, «tu continua a farti bella, Winnie».
La borsa custodisce anche Brownie, una rivoltella, che la donna tiene con sé e ammira di tanto in tanto, ma che sa che non potrà usare, neanche se volesse, perché questo vorrebbe dire tradire se stessa e l’idea ottimistica e felice della vita che si è costruita.
Ma Winnie non è sola in questo paradossale “inferno”: suo marito Willie vive vicino a lei e ne condivide parzialmente l’assurdo destino. Le condizioni di salute dell’uomo gli consentono di muoversi – ma soltanto strisciando – e di entrare e uscire dal buco nella terra che lo ospita e lo ripara dal caldo asfissiante.
Se il pubblico chiudesse gli occhi e non vedesse il cumulo di terra, i dialoghi scarni che sentirebbe sembrerebbero quelli tra due coniugi piccolo-borghesi alle prese con un matrimonio conformista e fintamente felice, come tanti. Ma la condizione surreale in cui i protagonisti vivono si scontra violentemente con parole e gesti insulsi e privi di apparente utilità, rendendo in qualche modo più chiara l’ipocrisia della società e la miopia con cui si costruiscono spesso i rapporti personali: per quanto ci si sforzi, a volte è difficile allontanare lo sguardo da se stessi e indirizzarlo su qualcun altro, mettendolo realmente a fuoco, guardandolo veramente.
Man mano che il tempo passa, Winnie si ritrova sommersa fino al collo nel suo monticello di terra, perdendo progressivamente ogni possibilità di movimento. Lo sconforto sembra allora prendere il sopravvento, gli occhi guizzanti e scintillanti sembrano appannarsi e la paura, che fino a quel momento era rimasta nascosta, strisciante come il marito di Winnie, sembra alzare il suo capo. Ma è solo questione di un attimo: la lucida follia della donna tenta di “ricomporre” tutto secondo l’ordine iniziale, la profusione di parole – vacui riempitivi di tutta l’opera, che ora risuonano nell’aria come un povero disco rotto – torna a dominare la lingua della protagonista, mentre Willie tenta invano di raggiungere con una mano il volto di sua moglie. O la sua pistola.
In una scenografia di cartapesta – che restituisce perfettamente la desolazione dell’ambiente e il progressivo rattrappimento del corpo e dell’animo dei protagonisti – i due interpreti trasmettono con disarmante immediatezza il terrore muto che deriva dalla perdita di ogni idea di futuro possibile, dalla consapevolezza di avere davanti a sé solo momenti da riempire con gesti e parole che altro scopo non hanno se non quello di distrarre da una situazione assurda e disperata.
Non ci è dato sapere perché Winnie e suo marito siano in quelle condizioni né cosa li abbia portati a tanto disfacimento. Quello che sappiamo, e che riusciamo quasi a toccare, è quanto sia labile la mente quando all’essere umano viene tolta ogni possibilità, ogni speranza, tanto da impoverirne persino la sostanza fisica. E non possiamo, anche se solo per un momento, non provare paura.

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti
Via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 24 novembre
Orari: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20,30 – mercoledì ore 19,45
domenica 15,45
Giorni Felici
di Samuel Beckett
traduzione Carlo Fruttero (Giulio Einaudi Editore)
con Nicoletta Braschi e Roberto De Francesco
regia Andrea Renzi
luci Pasquale Mari
scene e costumi Lino Fiorito
suono Daghi Rondanini
aiuto regia Costanza Boccardi
Melampo/Fondazione del Teatro Stabile di Torino