L’accademismo inconcludente dell’avanguardia

Fino al 25 marzo al Teatro Vascello l’ultima produzione di una delle realtà più importanti del teatro di sperimentazione, tra riconoscimenti dovuti e dubbi radicali sul suo effettivo valore.

Dal 1983, il Teatro Valdoca fondato dal regista Cesare Ronconi e dalla poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri a Cesena, rappresenta una delle realtà del teatro sperimentale più significative d’Italia: un teatro che è innanzitutto costruzione scenica incentrata sulla fisicità degli interpreti, dove il testo cresce e matura a partire dalla dimensione laboratoriale della costruzione dello spettacolo in quanto work in progress. In questo senso, le opere del Teatro Valdoca non cedono mai il proprio valore pedagogico, perché ognuna di esse nasce a partire da un percorso didattico rivolto a giovani interpreti e performer; non semplicemente e riduttivamente “attori”, ma veri e propri centri di energia ai quali non viene imposto un testo precostituito, ma dai quali sorge la dimensione teatrale, e ai quali resta ancorato il verso poetico di Gualtieri. Un verso e una scrittura dinamica, pungente, spesso spigolosa e irriverente, che lascia emergere volentieri spunti polemici nei confronti dei mali più gravi della contemporaneità, ma che si muove sempre nell’adozione della classicità riattualizzandola e trasfigurandola, così ottenendo come risultato un effetto spesso straniante.

L’ultima opera del Teatro Valdoca è in scena al Teatro Vascello fino al 25 marzo; uno spettacolo in linea coi precetti della “scuola” ronconiana, nella quale si sviluppa un contrasto tra elementi di indubbio valore estetico-espressivo e perplessità dovute all’inefficacia complessiva della produzione. Serio e rigoroso il lavoro svolto sugli interpreti, che in molte sessioni coreografiche dimostrano una notevole preparazione fisica e uno splendido coordinamento; precisi il disegno luci e la scenografia pressoché minimale, ma particolarmente accattivante è il suono che amplifica la tensione complessiva. Interessante il connubio tra la dimensione classica rappresentata dal coro greco e dal canto popolare (emblemi della dimensione collettiva dove il principium individuationis si disperde per confluire nella partecipazione patica e dionisiaca dell’indistinzione), dalla quale però gli ex-archontes si distaccano per dare vita alla recitazione attorale, così come, per raccontarlo con Nietzsche, dal coro originario si “strappa” l’attore dando vita alla recitazione, allo spettacolo, ma anche all’immagine e al pensiero. L’opera mette in scena questa originarietà mitica, tornando alla genesi dell’indistinzione di ritualità e teatro, il momento indefinito in cui si esce dall’ancestralità mitica per approdare all’arte, alla parola, alla dichiarazione.

Ma quando si passa alla parola, cosa accade? Accade che lo sguardo critico necessariamente impatta su quanto vede tentando di trarne un significato, un valore, che però sfugge: da quando l’avanguardia, nel giro di pochi decenni, si è tradotta in accademismo autoreferenziale e autoappagante, “tutto diventa uguale a tutto”, perché ciò che vediamo non è plasmato secondo una precisa intenzionalità. Si potrà sempre rispondere che lo spettacolo è in fieri ed è stato costruito sugli allievi, ma è chiaro che sarebbe una risposta insoddisfacente: il lavoro laboratoriale non deve per forza tradursi in uno spettacolo pubblico, se oltre alla dimensione didattica manca un’impalcatura concettuale o narrativa o ideologica chiara.

In altri termini, sfugge il senso complessivo dello sforzo dei corpi sul palco, e sfuggono purtroppo anche il senso dei versi di Mariangela Gualtieri, il più delle volte non all’altezza della sua penna e della sua carriera. Tutto è vago, oscuro, poi a un certo punto diventa il suo esatto opposto: didascalismo, che pretende di offrire una qualche istanza “politica” in riferimento alla società contemporanea ma in maniera puerile e inutile. Forse è proprio che il testo non è all’altezza della bravura degli allievi, situazione paradossale che d’altronde riflette il medesimo paradosso dell’elitarismo dell’avanguardia teatrale.

Lo spettacolo continua:
Teatro Vascello
via Giacinto Carini, 78 – Roma
dal 21 al 25 marzo, ore 21.00

Teatro Valdoca presenta
Giuramenti
regia, scene e luci Cesare Ronconi
testo Mariangela Gualtieri
drammaturgia del corpo Lucia Palladino
con Arianna Aragno, Elena Bastogi, Silvia Curreli, Elena Griggio, Rossella Guidotti, Lucia Palladino, Alessandro Percuoco, Ondina Quadri, Piero Ramella, Marcus Richter, Gianfranco Scisci, Stefania Ventura