Why?

Dopo la preview al Festival Orizzonti di Chiusi, debutta in prima nazionale a Teatri di Vetro l’ultima creazione firmata Abbondanza/Bertoni, Gli Orbi.

Prende esplicitamente le mosse da La parabola dei ciechi di Peter Bruegel, la nuova coreografia che Michele Abbondanza e Antonella Bertoni presentano nella propria veste definitiva all’interno di Teatri di Vetro, festival giunto al suo decimo anno e che la direttrice artistica Roberta Nicolai, dopo la grande paura del 2015 per l’esclusione dalla graduatoria dei soggetti finanziati dalla Regione Lazio, annuncia di «infinito stupore» (anche) in virtù di una fittissima programmazione di teatro, danza, presentazioni di libri e incontri pubblici distribuiti su un mese e mezzo e ben tredici spazi, tra Roma e la provincia di Viterbo.

Grandi numeri, ma anche e soprattutto grandi nomi della scena italiana, si offrono per un’edizione dunque attesa come «la fine di un ciclo […] che rende possibile un nuovo inizio», come una palingenesi che promette di continuare a farsi «interprete di una realtà dispersa» e della «pluralità di linguaggi» e ospitare chi «non si è arreso alle tendenze» e, «organismo tra organismi, ha tratto slancio dal suo stesso frammentarsi».

Parole di estrema chiarezza e lucidità, oltre che di sentito e giusto orgoglio, quelle della Nicolai che, tuttavia, risuonano quasi paradossali se paragonate a quanto di confuso e ordinario è andato in scena al Teatro Vascello. Gli orbi, infatti, sembra costruire il proprio percorso coreografico su una premessa, per quanto scontata, degna di rilievo, ossia ballare «quanto di equivoco vi sia nell’esistenza umana» – che poi sarebbe l’eterno della vita di sempre e ogni tempo – e farlo attraverso «una struttura coreografica martellante […] una specie di giga, che è poi una danza-girotondo ripetitiva e ossessiva». Una scelta che scopriremo strizzare sì l’occhio al culto del vintage e dell’esotico oggi tanto in vogue, ma comunque suggestiva (almeno nelle intenzioni) nell’interpretare la cecità come fenomenologia di chi sceglie, può o deve «chiudere gli occhi per vedere meglio […] bendato da scotch, deformati da elastici, imparruccati e travestiti», come ideale rimando all’idea del naufragio esistenziale di chi, per cercare la propria individualità («strappo di chi se ne andava in solitudine»), esce dalla massa (l’ensemble) e vaga «verso la sua personalissima (e liberatoria?) perdizione».

Una premessa intrigante che, purtroppo, troveremo incarnata in personaggi caricaturali più che iconici, inermi e incolpevoli macchiette poste sul solco tracciato dai due principali elementi che, volendo fare libero riferimento a una pièce sul tema (anche) della cecità, hanno posizionato questo spettacolo assolutamente agli antipodi dallo straordinario In fondo agli occhi, il capolavoro imperfetto di Berardi e Casolari: il primo relativo alla limitante rappresentazione dei «vizi moderni» come sballo e violenza;  il secondo all’ingenua concezione della «cecità come metafora estrema ed iniziale di un’impossibilità dello spirito, di un’inaccessibilità dell’anima ad una condizione di purezza così lontana dall’umano».

La circolarità del movimento tipico della giga, inserita all’interno della reiterazione compulsiva di quadri in cui più che la variazione minima è stata dominante una sterile omogeneità, annaspa in un immaginario comico dominato dalla ricerca della risata attraverso il bizzarro e il goffo e, accompagnata dalle didascaliche soluzioni musicali di Tommaso Monza, viene a palesare l’incoerente collocazione temporale di una narrazione che si sarebbe voluta metaforica, dunque sostanzialmente inattuale, ma che, di fatto, è sembrata consumarsi incapace di creare negli astanti la profondità di una autentica messa in crisi.

La monotona radicalizzazione di un registro tra il grottesco e l’ironico, tra il patetico e il ridicolo, un impianto musicale disco/pop di sorprendente banalità, le sbavature esecutive mascherate da contesto sperimentale dove la parola e il movimento vagano in piena anarchia, l’identificazione del narcisismo della donna con violenza e anaffettività, l’assoluta messa al riparo da ogni coinvolgimento empatico o sforzo concettuale, dunque la noia, edificano la rotta di collisione tra l’intenzione e la realizzazione materiale di un progetto sfiancante nel ritmo, ininfluente nell’impatto culturale e, purtroppo, di cocente delusione.

La coreografia è andata in scena all’interno di Teatri di Vetro
Teatro Vascello

via Giacinto Carini, 78, 00152 Roma
14 settembre, ore 21.00

Gli Orbi
di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
in collaborazione con la compagnia
con Tommaso Monza, Claudia Rossi Valli, Massimo Trombetta, Antonella Bertoni, Michele Abbondanza, Eleonora Chiocchini/primo cast è sostituita da Claudia Rossi Valli
luci Andrea Gentili
elaborazioni musicali Tommaso Monza
collaborazione alla creazione Danio Manfredini
produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni
coproduzione Orizzonti Festival Fondazione
con il sostegno Ministero Per i Beni e le Attività Culturali – Dip. Spettacolo, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Attività Culturali, Comune Di Rovereto – Assessorato alla Cultura, Regione Autonoma Trentino Alto Adige