Il cappello a rovescio
I coniugi Ceausescu protagonisti del nuovo lavoro della coppia Frosini-Timpano. A Fuori luogo si viaggia nella storia della Romania con Gli Sposi
Partendo da un’elaborazione del testo Les Epoux di David Lescot (con la traduzione di Attilio Scarpellini), Elvira Frosini e Daniele Timpano ripercorrono le vicende della coppia di dittatori rumeni, a partire dalla gioventù fino alla morte, e oltre. Confessiamo che, dopo aver visto Acqua di Colonia e Aldo morto, abituati a saggi storici di mille pagine, si rimane un po’ spiazzati e disorientati (e sì, diciamolo, anche un po’ delusi, per l’assenza di quell’indagine storica che tanto ci aveva appassionato) di fronte a questo romanzo di sole trecento pagine – laddove, ovviamente, la lunghezza in pagine vuole dare un’idea della densità del lavoro, restando a un livello descrittivo, senza giudizio di valore.
Come di consueto la scena è vuota, gli unici elementi utilizzati – due microfoni e due sedie vecchio stile – saranno introdotti in un secondo momento. Gli interpreti sono funamboli che camminano su una corda tesa nel vuoto. Il gioco in generale tiene, anche se a volte la tensione cala pericolosamente, e l’energia fra i due ogni tanto vacilla. Allo stile di Daniele Timpano un po’ siamo avvezzi e amiamo ritrovarlo: stessa figura in scena, a raccontarci una nuova storia. Elvira Frosini, al contrario, in questa replica, sembra vagamente sottotono. L’attrice procede con le proprie battute, in alcuni momenti quasi a passarci velocemente sopra – mentre talvolta si avverte un po’ di monotonia. Sappiamo che la recitazione si gioca fra distanza e vicinanza con il personaggio, eppure qualcosa non torna. Riguardo la sua esibizione sembrano intrecciarsi due problemi di ordine diverso: da un lato forse un’effettiva difficoltà dell’interprete, dall’altro l’innestarsi di questo problema su una scelta registica in sé difficile.
In ogni caso, la prima intervista ufficiale della coppia presidenziale ci aiuta a trovare una possibile (parziale) chiave di lettura alla strana sensazione di approssimazione che sentivamo. Al volto pubblico del potere, sicuro di sé e dalla faccia pulita e tirata a lucido, si alterna il lato personale e privato, in cui fatti e parole scivolano veloci e trascurabili. La gioventù dei due è una monotona successione di eventi fortuiti che, mescolati con scarse qualità, portano l’uomo al potere. Mentre la meta si avvicina, come una fiera che non vede che davanti a sé, questa sorta di Madre Ubu avanza senza freni verso il suo obiettivo, verso ciò che conta, madre/strega che incita il suo compagno verso vette più alte per lui e per sé stessa.
La morte di Ceausescu ha le movenze di altre morti che l’hanno preceduta, e che avevano favorito l’avanzare della storia e della rivoluzione. Le vicende dei due dittatori si inseriscono in un contesto di violenza politica che lascia supporre che, forse, in definitiva i “buoni” in quell’universo non esistano davvero. Il doppio finale a effetto pone domande inquietanti: con il primo finale, alla morte dei due dittatori, si libera il capitalismo, fatto di luci, scintillio, grandi magazzini e McDonald. Un capitalismo che Adorno descriveva come un altro tipo di totalitarismo. «È questo quello che abbiamo guadagnato con la loro morte?», sembra chiederci la scena. Nel secondo finale, il cane del Presidente corre e scava, forse alla ricerca del padrone (il cui corpo era sparito): che sia il cane l’unico a dimostrare comportamenti leali, onorabili, degni?
Non si segue tuttavia fino in fondo il senso del primo finale, o meglio sorge un dubbio riguardo il senso della prima domanda, la sua completezza.
Si legge nelle note di regia: “Una drammaturgia cartesiana, con un ribaltamento finale e un inizio sufficientemente ambigui da lasciare lo spazio a due autori e attori – come a noi – per una lettura critica ulteriore. Erano così come ce li hanno raccontati? Che ne è stato del Comunismo? E qual è stato il destino della Romania dopo la loro caduta?”. Per chi ha visto la Romania da vicino, ultimamente, lo sfavillare delle strade della capitale mostrato nel video, cozza con l’arretratezza di altre zone, cozza con il fatto che ci sono bambini che vanno a scuola nell’inverno rumeno accompagnati dal babbo su un carro trainato da un cavallo, cozza con la difficoltà delle persone di arrivare a fine mese perché il capitalismo ha significato per loro l’incertezza di avere uno stipendio tutti i mesi. La domanda che sorge dal primo finale sembra fondarsi sulla descrizione di una realtà che allo stato dei fatti appare molto più complessa di quanto appaia nel video con le luci di Bucarest. Quando si allarga lo sguardo, la realtà è molto più complicata.
Un intento critico, politico e polemico, per quanto da un lato apra delle crepe e faccia nascere delle domande; dall’altro, per principio e metodo, non può permettersi di ignorare o discostarsi troppo dall’attenzione alla realtà. Il partire da una drammaturgia data ha forse significato un limite? La passione per l’indagine impietosa dei grandi eventi e personaggi della storia è inciampata nel dramma di Lescot?
Lo spettacolo è andato in scena:
Centro Giovanile Dialma Ruggiero
via Monteverdi, 117 – La Spezia (SP)
venerdì 25 gennaio, ore 21. 15Gli Sposi – Romanian Tragedy
regia e interpretazione e riduzione Elvira Frosini e Daniele Timpano
testo David Lescot
traduzione Attilio Scarpellini
disegno luci Omar Scala
scene e costumi Alessandro Ratti
collaborazione artistica Lorenzo Letizia
assistente alla regia Camilla Fraticelli
voce off Valerio Malorni
progetto grafico Valentina Pastorino
uno spettacolo di Frosini / Timpano
produzione Gli Scarti, Accademia degli Artefatti, Kataklisma Teatro
con il sostegno di Armunia, Spazio ZUT!, Teatro di Roma, Asti teatro
nell’ambito di Fabulamundi. Playwriting Europe