La redenzione di Amleto

Un viaggio dall’Ade, a ritroso negli ultimi giorni di vita del principe di Danimarca, per riflettere sul senso dell’esistenza, della morte, e del perdono.

Un interessante punto di partenza quello scelto dalla compagnia Ciac: non più la consueta rivisitazione dell’Amleto in vita che, rancoroso e dibattuto tra la voglia di vendetta e i sensi di colpa, cerca di riscattare la morte del padre, ma la sorte  dell’anima di Amleto dopo la morte nel conflitto con lo zio/padre. Il drammaturgo e regista Eugenio Saravo, stranamente, s’interessa del dopo, dell’oltre.

Nel riflettere su questo aspetto insolito, il giovane regista parte da un presupposto che quasi richiama l’ananke della tragedia greca, l’ineludibilità del destino familiare: come lo spirito del padre non abbandona il castello finché il figlio non gli promette vendetta per la morte ignominiosa, allo stesso modo troviamo qui un Amleto che, quasi bloccato in una sorta di purgatorio, sospeso in una condizione indefinita tra essere e non essere, deve ripercorrere gli episodi più importanti degli ultimi giorni prima della morte, e fare i conti con i fantasmi di tutti i morti che direttamente o indirettamente ha causato, fare i conti con ciò che lo blocca dal trapassare definitivamente: il rancore e l’incapacità di perdonare.

Oltre a fornirci questo punto di vista peculiare, la compagnia presenta di fatto un Amleto nuovo, che poco ha a che fare con l’originale shakespeariano, se non fosse per qualche citazione dal testo del grande autore elisabettiano: il fantasma del principe infatti, dopo  aver parlato con le anime di Orazio, Ofelia, e del padre, attraverso immagini che rimandano più volte all’iconografia cattolica (riconoscibili le citazioni del Cristo del Mantegna e della Pietà di Michelangelo), getta lo scettro e la corona regale, smette di essere vendicativo e sanguinario, si toglie i panni di un ruolo che sembra non andargli più a genio per trapassare definitivamente, decidendo di fare la propria volontà, di perdonare, di superare il rancore e la sete di sangue – un passaggio che viene significativamente segnato dall’enunciazione di un Padre nostro rivisitato, in cui Amleto dichiara appunto di non voler più fare la volontà del padre suo e di non avere più l’esigenza di rimettere i debiti di nessuno, né i suoi né tanto meno quelli del padre. Un Amleto redento ma anche autonomo, autodeterminato.

Dopo la definitiva morte di Amleto, seguono tre pendant, durante i quali chi è rimasto vivo s’interroga sul senso della vita e, dall’altra parte, sul fascino e sull’attrazione che – in qualche modo perverso – la morte esercita da sempre sull’uomo.

Interessante l’idea, la novità della prospettiva e anche le riflessioni proposte dalla compagnia, ma l’eccessivo citazionismo cade ogni tanto in un intellettualismo che sembra dover coprire delle carenze inventive, così come l’essenziale della scena (che di per sé è positivo per come viene affrontato il personaggio e per le tematiche proposte) è rovinato dall’uso di tecnologie (luci futuristiche, telecamere che proiettano quello che vediamo sul palco) che lasciano un po’ basiti.

Lo spettacolo continua:
Teatro Libero
via Savona, 10-  Milano
fino a venerdì 17 maggio
orari: sabato ore 21.00 – domenica ore 16.00

Gli ultimi 45 minuti di vita di Amleto
drammaturgia e regia Eugenio Saravo
con Roberto Baldassarri, Pietro Faiella, Eugenio Saravo, Emanuele Silvestri, Claudia Vegliante
produzione Compagnia Ciac