Diagramma dell’esilio

Go down, Moses di Romeo Castellucci al Teatro Argentina di Roma: unica tappa italiana della nuova produzione della Societas Raffaello Sanzio di Cesena.

Dopo Genesi, From the museum of sleep del 1999 Romeo Castellucci ritorna al Libro dei Libri, la Bibbia. Go down, Moses, presentato a novembre al Festival d’Automne di Parigi, prima di riprendere la sua tournée internazionale, è stato rappresentato per due settimane al Teatro Argentina di Roma. Fortemente voluto dal nuovo direttore Antonio Calbi, ha inevitabilmente suscitato polemiche (non ancora sopite quelle relative al Natale in casa Cupiello diretto da Antonio Latella), ma ha registrato file lunghe al botteghino e il tutto esaurito a ogni replica.

Se Genesi era una riflessione sull’Inizio e sul problema del Male, Go down, Moses prende ispirazione dai libri dell’Esodo e sviluppa alcune variazioni sul tema dell’esilio e sulla figura del Liberatore. Il titolo rimanda a uno spiritual dei neri americani, alludendo contemporaneamente alle varie forme della schiavitù nella storia, mentre lo spettacolo insiste sulla servitù dall’immagine nella società dei consumi (e quindi l’interpretazione può essere sociale, ma anche esistenziale o estetica).

Castellucci ritorna così ad alcuni temi già sviluppati nella Tragedia endogonidia o nel più recente Velo nero del pastore, ma stavolta li elabora con maggiore compattezza. A differenza di altri spettacoli, Go down, Moses si presta infatti a una lettura apparentemente più immediata, se non altro perché è possibile ritrovare un filo narrativo: una donna disturbata partorisce un bambino, lo getta in un cassonetto; la polizia la interroga cercando di sapere dove l’ha nascosto, ma riceve solo risposte deliranti che alludono alla nascita di Mosè. L’episodio rappresentato trapianta il mito della nascita di Mosè nel torbido fiume della cronaca giornalistica, creando una sorta di correlativo oggettivo. Questo il nucleo narrativo principale, attorno al quale sono costruite delle variazioni che contemporaneamente spiazzano lo spettatore.

Go down, Moses comincia prima che le luci siano abbassate, mentre il pubblico continua a rumoreggiare in sala. Sul palcoscenico, in una scatola d’immacolato candore (simile a tante stanze bianche della Tragedia endogonidia), chiusa da un tulle trasparente anche nella quarta parete, gli attori entrano, sfaccendano, formano e disfano gruppi: siamo in un non luogo della modernità, forse una sala di un museo; i vestiti rimandano agli anni cinquanta, potrebbe essere attori di una commedia brillante americana. Si affannano tutti attorno ad una riproduzione del Leprotto di Albrecht Dürer con movimenti stilizzati. La scena è poi rapidamente messa in esergo dal regista: si spengono le luci in sala, l’immagine precipita nel buio e dall’oscurità emergono alcune stazioni della via crucis di una mater dolorosa: le crisi emorragiche (prima o dopo il parto) in un bagno pubblico rappresentate con iperrealismo, il cassonetto dove il bambino è stato gettato, che emana luce propria, il commissariato di polizia. L’interrogatorio è insolitamente affidato al dialogo con un inaspettato naturalismo (ma anche nella prima parte di M.#10 Marsiglia della Tragedia endogonidia accadeva qualcosa di simile). La donna è poi portata in ospedale e sottoposta a una risonanza magnetica.

Tra stazione e stazione sul palco appare una turbina che si mette in moto, mentre dall’alto calano delle capigliature, quasi degli scalpi: quando si avvicinano alla turbina sono risucchiati dal suo movimento sempre più veloce: la scena allude al celebre episodio del roveto di fuoco che nell’Esodo rappresenta l’incontro di Mosè con Jahvè e in qualche modo ci racconta il terribile incontro dell’uomo con il sacro. Castellucci ricorre a una delle sue straordinarie macchine celibi con cui sintetizza sia l’intensità di questo incontro, la sua indicibile violenza, sia la grande macelleria della storia. L’immagine ricorre tre volte nello spettacolo, senza mai perdere di forza, con quella maestria che appartiene solo a questo regista (bisognerebbe scrivere una storia di queste macchine sceniche, che in qualche modo hanno davvero rinnovato la scenotecnica del teatro italiano).

L’esame medico della donna precipita lo spettatore in un’altra dimensione temporale. Con un flashback arditissimo (sempre se non si tratta di un flashforward in un medioevo prossimo venturo) siamo catapultati in un passato preistorico: mentre in 2001 Odissea dello spazio di Stanley Kubrick si passava dalle scimmie antropomorfe al futuro dei viaggi spaziali, qui da un moderna sala diagnostica si sprofonda in una grotta semioscura, dove alcuni ominidi si confrontano con il mistero della morte e del sesso (un bambino muore, due individui si accoppiano). L’apertura della caverna si apre sul cielo stellato e lo sguardo del regista per pochi istanti si sofferma su una suggestiva emozione cosmica, che ricorda alcune immagini di The tree of life di Terrence Malick: sono pochi istanti, bellissimi, in cui la dolorosa vicenda dell’uomo è rapportata ai grandi spazi siderali. Sempre nella grotta una ominide lancia un messaggio dentro una bottiglia al nostro presente sporcando il tutte della quarta parete con la scritta SOS.

Nel finale una donna, che lo spettatore identifica con la mater dolorosa della storia, si sdraia in un incavo della terra, aspettando o sognando un uomo che la faccia concepire. Lo spettacolo si interrompe così bruscamente, lasciando frustrato lo spettatore. Per tutta la durata Go down, Moses ci ha fatto credere che il bambino nel cassonetto fosse il nostro Mosè, colui che avrebbe liberato l’umanità dalla schiavitù, poi nel finale la donna contraddice questa interpretazione e ci comunica una sua disponibilità a concepire.

Mentre la Tragedia endogonidia (C.#11 Cesena) si concludeva con la sopravvivenza del bambino, questo nuovo spettacolo di Castellucci getta uno sguardo più preoccupato sul futuro: nessun liberatore è nato, nessun nuovo legislatore, Go down, Moses è di fatto il documento doloroso di un’assenza e di un bisogno.

Lo spettacolo è andato in scena Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52, 00186 Roma
dal 9 al 18 gennaio 2015

Go down, Moses
di Romeo Castellucci
regia, scene,
luci, costumi di Romeo Castellucci
testi Claudia Castellucci e Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
con Rascia Darwish, Gloria Dorliguzzo, Luca Nava, Stefano Questorio, Sergio Scarlatella
sculture di scena, automazioni, prosthesis Giovanna Amoroso, Istvan Zimmermann
realizzazione dei costumi Laura Dondoli
produzione Benedetta Briglia, Cosetta Nicolini