Precipitando, con noia

Al Romaeuropa Festival, la proposta interdisciplinare di musica e danza della Hofesh Shechter Company dà forma al controverso Grand Finale.

È andato in scena al Teatro Olimpico, l’atteso ritorno a Roma della pluripremiata Hofesh Shechter Company.

Proponendo il collaudato marchio di fabbrica della compagnia in un’opera che imposta la danza su fragorose partiture musicali (firmate dallo stesso Shechter), dunque sulla ricerca di una sintesi estrema tra ambiente sonoro e parti ballate, Grand Finale anela a essere lo spartito coreografico di un caos capace di partorire la nicciana stella danzante, di una realtà che «potrebbe sembrare distopica, ma [che, ndr] nasconde un ottimismo leggero e fiducioso».

I primi venti minuti sono sconcertanti. Dieci danzatori e un sestetto abitano una scenografia di monoliti mobili dalle sembianze sepolcrali che compongono e scompongono live un mosaico architettonico estremamente flessibile. Giocando con quest’ultimo, alcune figure emergono con far quasi impressionistico, altre scompaiono tra giochi di luci e fumo, ma la percezione di una coreografia dai tratti tribale è solo apparentemente scomposta essendo, in realtà, animata dalla volontà di incontro.

Amplificata da una letterale immersione in una colonna sonora sempre pronta ad accompagnarne gli umori, la creatura di Shechter mostra però il fiato corto, anzi cortissimo, nei confronti non tanto della sua lunga durata, quanto di una creatività incapace di sostenere i propri stessi vertici (toccati nella prima metà della prima parte).

Complice un eccellente utilizzo del disegno luci, spazi di morte – al cui interno corpi femminili vengono mossi come marionette dai ballerini maschi sul suono di una splendida esecuzione della Vedova Allegra di Franz Lehar – si alternano ad ambienti ariosi in un disperato tentativo di dare forma al disordine, ma la continua castrazione della dimensione narrativa a favore di una restituzione figurativa patisce una composizione – sonora e performativa – ridondante e dispersiva e la cui costante stratificazione scenografica e reiterazione di movimenti animaleschi e di passi più ballati perde clamorosamente intensità, nonostante l’alta tenuta dell’ensemble.

Quello che era un abisso di suoni e nerezza colorata da black humor diventa un estenuante dialogo con il proprio ambiente di allestimento (caratterizzato dai monoliti e dalla compresenza/alternanza di musicisti e performer), la banale proposta di una direzione che avvicenda e compenetra senza soluzione di continuità l’eleganza e la potenza delle coreografie con la musica dal vivo.

Davvero troppo poco per giustificare le alte aspettative della vigilia.

La coreografia è andata in scena all’interno del Romaeuropa Festival
Teatro Olimpico
Piazza Gentile da Fabriano, 17, Roma
17 – 19 ottobre, ore 21

Grand Finale
scene, costumi Tom Scutt
luci Tom Visser
collaborazione musicale Nell Catchpole, Yaron Engler
direttore artistico associato Bruno Guillore
assistente design scene e costumi Rosie Elnile
danzatori Chien-Ming Chang, Robinson Cassarino, Frédéric Despierre, Rachel Fallon, Mickaël Frappat, Yeji Kim, Kim Kohlmann, Erion Kruja, Attila Ronai, Hannah Shepherd
musicisti James Adams, Chris Allan, Rebekah Allan, Mehdi Ganjvar, Sabio Janiak, Desmond Neysmith
musica addizionale Merry Widow Waltz di Franz Lehar, performance della London Philharmonic Orchestra e arrangiamenti Glocken Verlag Limited, Andante Cantabile String Quartet No.1 e Suite No. 4 in G Maggiore di Pyotr Tchaikovsky e Russian Tune di Vladimir Zaldwich
produzione Hofesh Shechter Company
co-commissionato da Georgia Rosengarten Commissione Sadler’s Wells, Théâtre de la Ville-Paris / La Villette-Paris, Brighton Dome and Festival Co-commissione Colours International Dance Festival Stuttgart, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Romaeuropa Festival, Theatre Royal Plymouth and Marche Teatro / Inteatro Festival together with Danse Danse Montréal, HELLERAU – European Center for the Arts Dresden in cooperation with Dresdner Musikfestspiele, Dansens Hus Oslo, Athens and Epidaurus Festival, HOME Manchester, Scène Nationale d’Albi
durata 100′ incluso intervallo 20′