Teatro dall’oltretomba?

Torna in scena a otto anni di distanza «uno dei primi spettacoli della Compagnia La Cattiva Strada», all’interno di un progetto di «riesumazione teatrale» e «ammodernamento e studio su dei testi da molti considerati anacronistici e obsoleti, ma che rappresentano un punto di partenza per tirarne fuori spunti creativi vivi e ancora interessanti».

È una domanda di estremo fascino quella che, nel teatro come nell’arte in generale, interroga su cosa sia classico o contemporaneo.
Non ci addentreremo nei meandri di un dibattito oggi più vivo che mai e che agita gli entusiasmi delle maestranze di settore e degli intellettuali tout court, ma che non ci appassiona nel suo incatenarsi e arenarsi nella disputa, spesso personale, di chi elemosina e ricerca risibili rendite di potere o visibilità.
Della questione, che potremmo traslare nel senso del rapporto tra tradizione e attualità, invece, ci entusiasma la radicalità. Ossia constatare come la sua più potente suggestione sia determinata non tanto dall’essere sempre e strutturalmente aperta, quanto dal suo promuovere sempre e nonostante tutto – anche a dispetto delle follie legislative degli ultimi anni – una perpetua apertura, stimolando alterità nel pensiero di chi dell’arte è, a vario titolo, esecutore o inteprete ed eludendo, in tal modo, la pericolosa stasi di chi la cristallizza all’interno di definizioni unilaterali, dicotomiche ed esclusive (il riscontro del pubblico, l’arte per l’arte, l’impegno civile, ecc).

È proprio il porsi all’interno della virtuosa condizione di chi si interroga continuamente a caratterizzare la statura artistica della direzione del Teatro Studio Uno di Tor Pignattara (Eleonora Turco e Alessandro Di Somma), struttura di cui ci sorprende solo fino a un certo punto il perdurante collocarsi ai margini della scena nazionale, visto il privilegiare senza se e senza ma una anacronistica prospettiva ermeneutica d’autentico – perché culturale e non mediatico – incontro non solo con il pubblico, ma anche e soprattutto con la critica. Ed è proprio questa volontà, nobile e audace, seppur di complicatissima attuazione, a colorare l’ennesimo progetto dal basso di questa che, a nostro parere, è oggi una delle ultime testimonianze della prestigiosa eredità delle cantine romane.

Nello specifico, a essere recuperato è stato il «famigerato repertorio del Theatre du Grand Guignol», un «teatro di intrattenimento e magia, che attraverso gli occhi del contemporaneo, riscopre il suo indiscutibile fascino». Tre i testi della riesumazione, tre le regie, unica la compagnia, pur variabile nel numero a seconda dell’allestimento: Sotto la luce rossa, diretto da Alessandro Di Somma e intepretato da Giulia Fiume, Diego Migeni, Alessandra Casale, Emiliano Morana e Giovanni Deanna; Mammina, regia di Diego Migeni, con Alessandra Casale, Giovanni Deanna e Giulia Fiume; Le notti all’Hampton Club, con la direzione del cast al completo (Alessandra Casale, Giovanni Deanna, Alessandro Di Somma, Giulia Fiume, Diego Migeni, Emiliano Morana) affidata a Leonardo Buttaroni.

Ad accomunare le rappresentazioni, un’indubbia preferenza per l‘impianto del teatro di parola, dal significativo e minimale realismo delle scene curate da Paolo Carbone alla ipotetica potenza del testo affidata all’auspicata efficacia delle impostazioni attoriali, il tutto – nelle intenzioni – finalizzato alla creazione di un’atmosfera densa, palpabile e di costante tensione. Se nella scelta dei racconti, i primi due – in particolare il secondo – hanno mostrato tutti i segni del tempo, patendo prevedibilità nella cadenza recitativa e assenza di suspense (indispensabile per le generazioni di un’epoca dai frenetici ritmi sociali e multimediali), a lasciare il retrogusto amaro della non credibilità drammaturgica è stata l’incerta e poco strutturata resa caratteriale dei personaggi e delle interpretazioni e, di conseguenza, l’incapacità di plasmare le desiderate condizioni ambientali di un «genere teatrale precursore dello splatter anni 80, tra ammazzamenti, sangue, thriller e donne poco vestite».

Se a salvarsi, e solo in parte, è stato solamente il terzo quadro (nel quale le stereotipie del Presidente e l’ammiccante sigaretta sempre accesa di Rivers, rispettivamente un convincente, ma incostante, Alessandro Di Somma e una suadente Giulia Fiume, decisamente più credibile dopo la faticosa prova da protagonista del secondo episodio, hanno dato forma e sostanza a un magico naturalismo misto di caricaturale e grottesco) e al netto di tecnicismi audiovideo di mero accompagnamento (che poco hanno aggiunto o tolto all’impressione generale sullo spettacolo e che, probabilmente, necessiterebbero di un semplice lavoro di affinamento nella scelta delle musiche e nei tagli e nei colori delle luci) sono stati due gli elementi critici rispetto alla sostanziale inconsistenza emozionale riscontrata in scena.

Da un lato, la già citata presenza di personaggi affettatti e monocordi che, impacciati nel gestire le dinamiche tra pari e la relazione con lo spazio, hanno riversato sulla rappresentazione una sensazione di artificiosità complessiva. Dall’altro, l’edulcorare, dunque il tradire, quelle che sono le peculiarità che hanno reso unico e, forse, irripetibile il meccanismo granguignolesco, ossia il depotenziamento della percezione orrorifica, della sofferenza e della perversione (anche sessuale), dunque della valenza cruenta e macabra di un teatro che, senza timore, vedeva nel tremore del pubblico il senso intimo del proprio modus operandi.

Un «primo esperimento di riesumazione teatrale», dunque, allo stato dell’arte ancora incerto nell’articolarsi coerente rispetto alla costruzione di un’atmosfera scenica di tensione e, di conseguenza, nel promuovere condivisione ed empatia, ma di estrema curiosità e al quale, viste le intenzioni ambiziose e di lungo respiro, nonché per la non strutturalità delle sue sfumature di grigio, sarebbe un peccato non dare il giusto tempo per crescere e maturare.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Studio Uno

via Carlo Della Rocca, 6
dal 4 all’8 gennaio
dal giovedì al sabato 21:00, domenica 18:00

Grand Guignol
primo esperimento di riesumazione teatrale
regia Alessandro Di Somma (Sotto la luce rossa), Diego Migeni (Mammina), Leonardo Buttaroni (Le notti all’Hampton Club)
con Alessandra Casale, Giovanni Deanna, Alessandro Di Somma, Giulia Fiume, Diego Migeni, Emiliano Morana
scene Paolo Carbone