La fine degli ideali?

Contemporanea, edizione XIX, porta sul palcoscenico del Metastasio il nuovo lavoro dei Rimini Protokoll con tutte le luci e le ombre di sessant’anni di rivoluzione cubana, ma soprattutto di una nuova generazione che, come quella europea, cerca nuovi ideali.

Il sottotitolo di questa edizione di Contemporanea è Vivere al tempo del crollo, e già dal lavoro di Stefan Kaegi (che ha fondato nel 2000 il collettivo Rimini Protokoll, insieme a Helgard Kim Haug e Daniel Wetzel) si sente, sotterraneo, quel sommovimento che sta scuotendo le nuove generazioni. In alcuni Paesi con la ripresa, in chiave solamente ambientalista, di quelli che furono gli ideali politici ed economici del movimento no-global di inizio millennio (che in Italia fu più o meno stroncato a Genova nel 2001); in altri, con il rinfocolarsi dei miti religiosi in funzione politica; e in altri ancora, come a Cuba o in Vietnam o persino in Cina, con un progressivo abbandono delle istanze socialiste in favore di una crescente richiesta più che di libertà personale, di libertà economica – e conseguente arricchimento personale.

Lo spettacolo dei Rimini Protokoll si inscrive, quindi, nel solco delle loro conferenze, con un minimo coinvolgimento del pubblico, e l’obiettivo di un teatro narrativo/documentale che non si avvale, però, né della solida scrittura drammaturgica (con conseguente rielaborazione poetica) né dell’interpretazione attorale, per fare due esempi, di un Paolini/Vacis o di un Sarti/Storti.
 Nemmeno i metales, ossia gli ottoni del titolo – che facevano sperare in un confronto tra generazioni a livello musicale – sono suonati da professionisti (a parte Diana Sainz Mena) e il succitato confronto si rivela essere la trasmissione di un brano d’epoca eseguito dal nonno di Diana con un brano dell’attuale band della quale faceva parte che accompagna il canto dal vivo della nipote (in stile melodico-popolare da festival canoro).
Ne consegue uno spettacolo un po’ lento e, a tratti didascalico, dove si vorrebbe capire il senso, oggi, per i giovani cubani della Rivoluzione che spodestò il dittatore Fulgencio Batista, utilizzando i dati, i ricordi e l’esperienza personale di quattro cubani dei nostri giorni quale garanzia di veridicità. Purtroppo, nonostante la buona prova scenica soprattutto di Milagro Álvarez Leliebre, la sensazione complessiva è che, dopo un inizio dove le vicende dei singoli nonni dei quattro protagonisti sono in grado di fondersi nell’amalgama della storia, trasformando i singolari relativi in corale collettivo, il ritmo dello spettacolo rallenti, l’ingranaggio scricchioli mentre gli anni scorrono caoticamente e i dati si affastellano con qualche inesattezza, così che le vicende dei giovani si sgretolano in confessioni sempre più private e individualiste.
 Stranamente, ma forse volutamente, questi giovani (a parte la succitata Milagro) sono molto simili a quelli di un qualsiasi Paese occidentale, contraddittori, ossessionati dai soldi, critici, ma privi di ideali o di risposte positive alla crisi che sta vivendo Cuba – ormai pronta alla svolta liberista.
La sensazione complessiva che se ne ricava è di un’utopia che sapeva e riusciva a coinvolgere le masse e a creare socialità, ma che oggi è nelle mani di una generazione che non ne comprende il senso e nemmeno sa dare un senso altro al proprio disappunto, al proprio spleen. Si è scartati dall’esercito e, solo per questo motivo, si inizia a dubitare di tutto? Eppure i quattro giovani hanno potuto studiare e laurearsi, hanno una casa, se si ammalano c’è un servizio sanitario che li cura, e nonostante razzismo e maschilismo non siano stati totalmente debellati, la situazione non sembra peggiore di quella italiana.
Questo, però, ha a che fare con il contenuto, che è sempre personale e opinabile. Quello che convince meno è il contenitore. Una forma in qualche modo basica, senza rielaborazione del linguaggio o un uso della musica davvero pregnante, che non eleva un prodotto di per sé documentale ad artistico. Certo è nello stile dei Rimini Protokoll ma il cortocircuito emotivo, che passa anche attraverso la sublimazione del brutto e la catarsi, non scatta (anche se Kaegi si dice aristotelico) in quanto non vi è alcuna possibilità di identificazione con queste storie del tutto personali. Come accade, al contrario, con La nave fantasma o Il racconto del Vajont. E nemmeno è possibile citare Brecht, ossia intendere che ci si trovi di fronte a un teatro epico, in quanto il teatro epico si basava sulla tecnica dello straniamento e, qui, anche i dialoghi tra due nonni (gli unici sopravvissuti) e i nipoti in scena sembra più una rielaborazione di un format televisivo che non un mezzo per mettere in evidenza, in forma straniata, le dicotomie tra queste generazioni. Il risultato appare come una conferenza in qualche misura teatralizzata, come una lettura scenica con l’ausilio di materiale documentale.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Contemporanea 19 Vivere al tempo del crollo:
Teatro Metastasio
via Cairoli, 59 – Prato
sabato 21 settembre, ore 19.00

Granma. Metales de Cuba
un progetto di Rimini Protokoll
concept e regia Stefan Kaegi
drammaturgia Yohayna Hernández, Ricardo Sarmiento (assistente)
con Milagro Álvarez Leliebre, Daniel Cruces-Pérez, Christian Paneque Moreda e Diana Sainz Mena
stage design Aljoscha Begrich, Julia Casabona (assistente)
video Mikko Gaestel in collaborazione con Marta María Borrás
composizioni musicali Ari Benjamin-Meyers
sound design Tito Toblerone e Aaron Ghantus
costumi Julia Casabona
direzione tecnica e light design Sven Nichterlein
direzione di produzione Maitén Arns
foto di Ute Langkafel

Tra i prossimi spettacoli in programma segnaliamo:
mercoledì 25 settembre, ore 20.00
Teatro Fabbricone
via Targetti 10/12 – Prato
Agrupación Señor Serrano (Barcelona) presenta:
Birdie

domenica 29 settembre, ore 18.00
Teatro Metastasio
via Cairoli, 59 – Prato
Marlene Monteiro Freitas (PT) presenta:
Bacchae – Prelude to a Purge