Monologo KO

Un palcoscenico che diventa un ring in cui l’attore come il pugile non può fingere, pena la sconfitta. L’interpretazione di Roberto Galano vince per la sua travolgente verità.

Ciò che colpisce lo spettatore, una volta accese le luci di scena, è la fisicità fortemente evocativa del personaggio. Un corpo di pugile, ma non solo, un corpo di puro lottatore abituato a difendersi con le mani e con lo sguardo. Massiccio, leggermente ricurvo su se stesso, Pietro, sul ring Hamburger, è un pugile di trent’anni che al suo, forse, ultimo incontro rivive ricordi più o meno lontani, senza filtri, ad alta velocità, impetuosi come la rabbia che si porta dentro. Sin da piccolo, il suo istinto risponde a ogni provocazione con pugni e calci, non importata chi ha davanti, l’impulso distruttivo e autodistruttivo non può essere frenato. I genitori ciechi e stanchi non hanno risposte migliori del riformatorio, dove ai suoi attacchi di ira corrispondono dosi massicce di calmanti. Ma quella del giovane Pietro è una forza rabbiosa che non può essere sedata bensì indirizzata, come la traiettoria di un pugno. La causa del suo male, quel mare in tempesta che lo percuote, può diventare la giusta terapia. Hamburger sale sul ring per due motivi. Il primo è la rabbia, il secondo è Dante, lo psicologo che, come un moderno Virgilio, è la guida di un giovane errante che – come tutti – se bene indirizzato può trovare il suo paradiso. Hamburger diventa un pugile con il pugno da KO, un colpo che non insegnano nelle palestre, «ce l’hai e basta».
Guardando Hamburger, si dimentica di essere a teatro. L’attore è il personaggio, in senso stanislavskiano. Il personaggio prende vita, i fantasmi e le motivazioni dell’uomo vibrano nelle parole, nei gesti e nelle espressioni dell’attore. Uno spettacolo sulla boxe non può non essere uno spettacolo sul corpo dell’attore. Qui i gesti traducono le parole e le riempono di verità. I suoi ricordi sono un fiume in piena e il gesto in movimento è la spinta che dà forza a queste parole. La vita del pugile, fatta di morbose diete e allenamenti sfiancanti si alterna alla vita dell’uomo rabbiosa, passionale e malinconica. Il pugile-attore è sul palco come se fosse sul ring, così lo spettatore teatrale è lo stesso di un incontro di boxe, entrambi esigono una performance, con un occhio sadico che, forse inconsapevolmente, sogna la sconfitta del performer. Il pugile come l’attore non può fare a meno di quegli occhi che lo guardano e giudicano. In settanta minuti di monologo, con crescente interesse, si seguono le vicende raccontate da chi le ha vissute, e non da chi le ha scritte. Si fa la conoscenza di un personaggio crudo che non è lì a raccontare la sua storia per compiacere l’ascoltatore; quando si pensa di essere riusciti a condividere la sua vicenda, grazie anche a quei momenti di dolce riflessione e di umana inquietudine, l’anti-eroe ferocemente riappare a ricordare che in scena, prima di una storia da raccontare, c’è l’uomo imperfetto e spoglio dalle apparenze.
Boxe e teatro, sport e cultura stringono un accordo in questa interpretazione di rara bravura e degna del lungo applauso finale che oltre a un merito estetico ne ha uno umano: ricordare che un’alternativa c’è.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Ygramul
via N. M. Nicolai, 15 – Roma
sabato 25 e domenica 26 febbraio, ore 21.00

TeatrodeiLimoni presenta
Hamburger
di Leonardo Losavio, D. Francesco Nikzad
regia Roberto Galano
con Roberto Galano
elementi scenici Michele Ciuffreda
boxing coach Stefano Pompilio
editing audio Roberto Moretto JRStudio