Il peso della farfalla

teatro-era-pontederaAl teatro Era di Pontedera va in scena I am America. Quando i versi di Allen Ginsberg incontrano il teatro povero di Grotowski – rivisitato in chiave Jesus Christ Superstar. Un piccolo capolavoro per pochi eletti.

Citiamo con piacere il titolo di un libro davvero bello di Erri De Luca per uno spettacolo che, come una farfalla, si posa sulla spalla dello spettatore per deliziarlo con la propria delicatezza. Eppure basterebbe altrettanto poco – un fremito d’ali al momento sbagliato – perché l’intero castello di carte crollasse.
Nove interpreti – oltremodo talentuosi – si muovono in uno spazio ristretto, a contatto con il pubblico (come voleva il maestro Grotowski) e, attraverso il canto, la danza, il movimento, la recitazione anti-naturalistica, il gesto e lo scambio – umano e viscerale – con l’altro da sé, esprimono la miriade di sfumature dell’individuo e di un’America (per l’esattezza, degli Stati Uniti) che è l’insieme di tanti io – ognuno con i propri sogni, angosce, speranze e grida: quell’urlo che, per la prima volta, risuonò alto nella San Francisco ancora benpensante della metà degli anni 50.
Ma qui si va aldilà dei magnifici versi di Ginsberg – aldilà di “If I can dream that I dream/and dream anything dreamable/can I dream I am awake/and why do that?” (“Se posso sognare che sogno/e sogno qualsiasi cosa sognabile/posso sognare che sono sveglio/e perché farlo?” – t.d.r.) e del celebre attacco: “I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked” (“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche” – traduzione di Fernanda Pivano), che si spegne nel j’accuse: “America I’ve given you all and now I’m nothing./America two dollars and twentyseven cents January 17, 1956” (“America ti ho dato tutto e ora non sono nulla./America due dollari e ventisette centesimi 17 gennaio 1956” – traduzione di Fernanda Pivano).
Perché in I am America il verso si sposa alla musica dal vivo, al canto a cappella, a una gestualità coreografata in uno spazio esiguo eppure precisa in ogni movimento e talmente varia da moltiplicare gli spazi; a un uso delle luci sapiente – che cela, riverbera e illumina, sposandosi al pathos del momento. E ancora, a una perfetta sincronizzazione; alla capacità di rivestire un ruolo che, sebbene individuale, trascende dal personaggio per calarsi in un archetipo (e anche qui si ritrova l’insegnamento di Grotowski). Si sposa a una “povertà” (voluta e necessaria) della scenografia che, comunque, dà spunto a una molteplicità di scenari: perché a volte, con pochissimi mezzi (essenzialmente delle cassette di plastica per la frutta e una bandiera americana sbrindellata) e una fantasia registica estrosa, si possono ricreare situazioni (il volo di una farfalla, l’incedere di un corteo funebre, tra i tanti), che sono universi-mondi di significato in grado di regalare emozioni autentiche.
E ad alleggerire un testo che, in altre mani, sarebbe apparso pretenzioso, quell’eco lontana di un Jesus Christ Superstar, di un genere – il musical – così profondamente statunitense da incarnare in sé un’intera nazione – a livello di valori artistici e culturali, ma anche di presa di coscienza politica. Non a caso negli anni 70 nacque, oltre al film di Norman Jewison, un altro capolavoro del genere, il cult Hair.
Uno spettacolo per pochi intimi che consigliamo di vedere e rivedere per apprezzarne appieno i significati e i tanti significanti.

Lo spettacolo continua:
Teatro Era – Pontedera
venerdì 5 e sabato 6 aprile, ore 21.00
The Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards:
Open Program
I am America
regia Mario Biagini
con Mario Biagini, Lloyd Bricken, Davide Curzio, Agnieszka Kazimierska, Felicita Marcelli, Ophelie Maxo, Alejandro Rodriguez, Graziele Sena e Suellen Serrat
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