Al Teatro Parenti va in scena l’Italia di ieri, simbolo e icona di quella di oggi.


L’operazione compiuta da Michele Placido nel doppio ruolo di regista e interprete è decisamente riuscita: proporre in versione corale e teatrale il libro più famoso di Ignazio Silone, Fontamara.

Con i mezzi propri del teatro e l’apporto creativo e interpretativo di giovani attori provenienti dall’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico – che sono però già in grado di sostenere la complessità dei loro ruoli e di recitare con convinzione in dialetto – Placido mette in scena uno spaccato di vita vissuta che sebbene ritragga finalmente la condizione dei contadini poveri del sud, i cosiddetti cafoni, ha il respiro dell’epopea e dialoga in maniera sotterranea con il nostro presente quotidiano.

Su una scena spoglia, i dieci attori ricreano un universo di povertà e frustrazione interpretando ruoli diversi a seconda dell’abito che indossano (una rastrelliera sul fondo porta appesi i cambi) e con il semplice ausilio delle luce, dei rumori, di qualche canzone popolare dell’epoca (siamo in periodo fascista) e della coralità dei movimenti che, in alcuni casi, assumono la perfezione del tableau vivant, restituiscono situazioni, conflitti e persino il dramma di uno stupro collettivo.

I temi che si srotolano in un’ora e mezza vanno dal diritto all’acqua – il nuovo podestà, che è anche un imprenditore e confonde affari pubblici e scopi privati, ha dirottato il corso del fiume per irrigare le proprie terre – alla mancanza di comprensione per quanto viene loro imposto dalle autorità – si fidano di Don Circostanza, un “amico del popolo” che grazie a un uso sapiente della comunicazione e all’ignoranza dei cafoni può a far credere che 10 lustri non equivalgano a 50 anni; e, ancora, di fronte alla macchina burocratica che impedisce loro di lavorare o di migrare, invece di ribellarsi, sperano nel “favore” perché così va l’Italia: la spintarella, la raccomandazione fanno la differenza, al sud come al nord, ieri come oggi.
È Giovanni che esprime bene uno dei due concetti cardine della rappresentazione: pensare a se stessi – Io speriamo che me la cavo, si intitolava un film della Wertmüller; mentre Berardo Viola – la vittima predestinata – afferma l’altro concetto fondamentale, ossia che la differenza tra un cafone e un animale è il ragionamento ma se gli si vieta di esercitare questa basilare facoltà umana, cosa gli resta se non la violenza?

Che fare? è il titolo del giornale che, alla fine del dramma, i cafoni vorrebbero aprire per trovare le risposte ai mille soprusi che hanno dovuto subire: un monito e un esempio, terribilmente attuali.

Appendice dovuta è la menzione speciale per il giovane interprete di Giovanni che fornisce una prova attorale persino al di sopra dell’ottimo livello raggiunto da tutti i suoi colleghi in scena.

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti
via Pier Lombardo 14 – Milano

I Fatti di Fontamara
da Fontamara di Ignazio Silone
un progetto di Michele Placido
a cura di Andrea Ricciardi e Marica Gungui
con Michele Placido, Giulio Forges Davanzati, Lino Guanciale, Marica Gungui, Francesco Montanari, Ivan Olivieri, Roberto Pappalardo, Andrea Ricciardi, Riccardo Ricci, Eugenia Rofi, Roberta Santucci, Valentina Taddei
produzione The Company con il contributo di Fondazione Onlus “Il Meglio di Te”, Ministero per i Beni e le Attività Culturali in collaborazione con Associazione Teatro di Romafino