«Non so se sia una tragedia o una farsa, ad ogni modo è un capolavoro!»

Al teatro Verdi va in scena, fino al 29 maggio, Parenti terribili, una delle pièce più conosciute di Cocteau: attraverso i problemi comuni di una famiglia non convenzionale, una riflessione sui rapporti umani e sul bisogno di sincerità verso se stessi.

Dopo Pirandello ci si poteva immaginare che ormai fossero state scandagliate tutte le possibili storie di tradimenti, le variegate combinazioni sentimentali, gli innumerevoli sotterfugi esistenziali nei rapporti umani… e invece no! Jean Cocteau riuscì, nel lontano 1938, a produrre un testo che, non a caso, è uno dei più rappresentati e amati da qualsiasi tipo di pubblico.
Questa sorta di Re Mida francese trasformava in oro (più sul piano culturale che su quello economico) tutto ciò che sperimentava: sia che fosse la sua collaborazione nell’ambito musicale con il gruppo dei Sei (la cui “guida spirituale” era Satie) o con Diaghilev per i suoi balletti, sia che si cimentasse nella scrittura o nell’arte figurativa, all’interno del movimento dada e surrealista o, ancora, che s’impegnasse in ambito cinematografico (il suo Orfeo avrebbe influenzato la Nouvelle Vague), il grande eclettico riusciva sempre a cavarne fuori qualcosa di innovativo, di sensazionale e soprattutto di ironico.

E non è difficile capire il suo multiforme successo, vista l’energia e il fascino che ancora oggi questo testo sa riscuotere: si parte “semplicemente” da una famiglia sgangherata che vive nel più totale caos materiale, economico e soprattutto emotivo; una famiglia che, seppur composta da tre persone, ne combina in realtà per dieci. A relazionarsi come bambini immaturi sono una coppia di coniugi ormai logorati dal matrimonio di ventennale durata – le interpretazioni di George e Sofie sono eccezionali grazie a un’espansiva Laura Rullo e a un ottimo “finto innocuo”, Massimo Leonardo Villucci – e un figlio, Michel, che non si capisce quanto sia naif e quanto matto; ma sarà proprio lui che, con il suo improvviso innamoramento per una ragazza poco più grande (Madeleine) porterà la famiglia a confrontarsi con traumi irrisolti e bugie fintamente innocue.

Lo scompiglio generato, dapprima, dalla tipica sindrome delle madri da “defraudamento del ruolo di prima donna”, si evolve inaspettatamente, a causa di un colpo di scena geniale – che si rivela solo nel momento in cui Michel vuole presentare la ragazza alla famiglia. Iniziano a girare strane coincidenze, a svelarsi particolari somiglianze tra circostanze e persone che, dapprima come fantasmi nel loro materializzarsi, svelano meschinità e doppi giochi , in una famiglia e tra amanti, non ci si aspetterebbe.che

Un quarto elemento si aggira nel “carrozzone”: Leony, la sorella maggiore di Sofie. Sembra un personaggio “a margine”, una perdente, una cinica egoista e, invece, con la sua mania per l’ordine, tira le fila di questa famiglia sconclusionata – essendo l’unica a decidere di comportarsi da adulta. La meravigliosa interpretazione di Cristina Zamboni non lascia indugi sulla centralità di questo personaggio energico, frizzante pur nella sua compassata eleganza da sfinge. Ma la riflessione di Cocteau si estrinseca proprio in questo carattere: è bello giocare nell’arte, bello giocare con le parole, le figure, le idee, ma nelle relazioni umane è pericoloso usare le persone come fossero giocattoli; è necessario prendersi le proprie responsabilità quando la vita ce lo chiede, ma senza dimenticare il giusto condimento di sarcasmo e ironia.

La bellezza del testo sta proprio nel confondere lo spettatore su più livelli: con i continui colpi di scena interni alle vicende familiari; con un impasto sapiente di situazioni che spaziano dal comico al grottesco al drammatico, senza mai esagerare o stancare, nonostante l’atto unico di 105 minuti; e soprattutto con le inaspettate evoluzioni dei personaggi che, grazie alla simpatica trovata delle canzoni, si rivelano diversi da quanto vogliono dare a vedere, svelando la loro interiorità nascosta, le zone d’ombra attraverso i testi e le musiche scritte appositamente da Gipo Guarrado.

A contenere tutto questo caos umano, una cornice giustamente sobria, classica e chiarissima;
cornice che riguarda in primo luogo il testo stesso, organizzato in tre atti – che seguono il classico quanto sicuro schema tesi-antitesi-sintesi – e, in seconda battuta, la scenografia, che con la sua semplicità estetica rievoca la Nouvelle Vague cinematografica nel cerare spazi astratti, dal valore assoluto, con l’uso di strutture dal semplice bi-cromatismo bianco/nero e con un’oggettistica essenziale e caratterizzante. A rinvigorire questa citazione cinematografica (esigenza dichiarata dallo stesso Salvalalio, il regista,) vi è lo schermo sullo sfondo che garantisce una continuità spaziale e temporale al di là del palco per eventi di altri luoghi e altri momenti: lo stile delle inquadrature, le foto proiettate, il bianco e nero e i costumi rievocano abilmente una delle stagioni più innovative della storia del cinema.

Uno spettacolo che indaga sulle relazioni umane, sulla relatività del concetto di normalità, partendo da situazioni familiari abbastanza comuni e “normali” per deviare, poi, verso soluzioni inaspettate, stravaganti ma osservate con lo sguardo bonario di chi sa che la normalità non esiste e che, in fondo, tutti prima o poi potremmo ritrovarci in queste situazioni, perché “nel cuore c’è di tutto”.

Lo spettacolo continua:
Teatro Verdi

via Pastrengo, 16 – Milano
fino a lunedì 29 maggio
orari: da martedì a sabato, ore 21.00 – domenica, ore 16.30
(105 min. senza intervallo)

I parenti terribili
di Jean Cocteau
regia Maurizio Salvalalio
con Elisa Conte, Diego Willy Corna, Laura Rullo, Massimo Villucci e Cristina Zamboni
regia elemento video Erik Bernasconi
scene Leonardo Modena e Maurizio Salvalalio
musiche Gipo Guarrado
costumi Laura Pennisi