Interrogativi

india-argentina-roma-80x80In scena al Teatro Argentina, I pilastri della società di Ibsen continua a interrogarci sulla possibilità reale di una società capace di ‘reggere e progredire senza la Menzogna’.

Vedere uno spettacolo di Lavia non è mai “inutile” e i suoi allestimenti sono (quasi) sempre esperienze degne di essere fatte. Una “garanzia”, quella offerta da Lavia, che riscontriamo anche nel grande successo che il regista e attore milanese continua ad avere presso i giovani; non fa eccezione questo testo di Ibsen, spietata e attualissima contestazione delle modalità in cui i (micro)rapporti di potere si strutturano sulla base di un tacito accordo che, stipulato per il bene dei “molti”, risulta andare a vantaggio dei “pochi”.

L’autore norvegese non è uno dei più semplici da portare a teatro e, da questo punto di vista, Lavia è impeccabile: la scenografia, pur non particolarmente originale, e l’incedere narrativo risultano perfettamente funzionali al messaggio, che infatti arriva “forte e chiaro”; l’idea di Ibsen che la società regga su pilastri marci è purtroppo ancora “viva” e Lavia ha il grande merito di riuscire a evitarne ogni macchiettismo ideologico con una drammaturgia aderente al messaggio.

Una complessità ben resa, grazie e nonostante una verbosità spinta forse all’eccesso, come nel caso del finale che, pur ribadendo il dramma da una nuova prospettiva, si dilata temporalmente oltre misura, perché se fino alla chiusura era stata l’ipocrisia del personaggio “integerrimo” Bernick – e il conseguente modello di una società che su di essa si costruisce – ad essere sul banco degli imputati, il monologo con cui Lavia chiude lo spettacolo propone una nuova lettura.

Non si tratta più di nascondersi dietro una menzogna («che ti ha fatto quello che sei» dirà più d’una volta Lona a Bernick), ma di riflettere su quanto sia “necessario” il modello divide et impera e panem et circenses che caratterizza tutte le forme di autoritarismo più o meno nascoste anche al giorno d’oggi, ovvero si tratta di interrogarsi sull’idea che dalla grandezza di un singolo possa in qualche (strano) modo dipendere il benessere del popolo. Che si sappia pure degli interessi personali (influenza, potere e ricchezza) che hanno caratterizzato l’intera esistenza del più illustre dei cittadini, ma si sappia anche – e a maggior ragione – che ogni briciolo di quel benessere dipende da essi. Di questa visione “monarchica” e da “ventennio”, che svilisce ogni umanità in nome del più bieco ed egoistico interesse di parte, vedreno in scena una ulteriore radicalizzazione nella miseria e nella sottomissione cui il capocantiere e i suoi operai saranno costretti una volta messi – dal console – di fronte alla prospettiva del licenziamento.

Esempio di teatro di parola e potente testimonianza della validità della tradizione italiana da sempre legata alla narrazione e alle imponenti scenografie, il teatro di Lavia sfoggia alcune “consuetudini” che ne hanno fatto la fortuna, ma che a volte pagano il dazio della ridondanza.
Accanto a una ottima restituzione delle atmosfere, complice la sapiente gestione delle luci e una “fotografia” meravigliosa, come alcune semplici trovate che ben “rispecchiano” il perbenismo e moralismo del tempo (le ricorrenti “canzoncine”, l’invettiva contro il nuovo rappresentato dall’America, lo spettegolare delle amiche di una bellissima e credibile Giorgia Salari nei panni della donna sconfitta da una vita passata con un uomo che in realtà non conosce minimamente), nel caso di questo allestimento è sembrata deficitaria l’impostazione registica delle interpretazioni attorali. La recitazione, enfatica e amante di strutture dialogiche “legate” a monologhi spesso memorabili (anche nel caso dei recenti Masnadieri della Giovane Compagnia del Teatro di Roma), ha mostrato più d’una disomogeneità, con un Lavia apparso affaticato e a tratti fuori ritmo, forse emozionato da quella che potrebbe essere la sua ultima produzione come direttore del Teatro Argentina.

Forse, come al personaggio Johan Tonnesen fuggito in America per salvaguardare la reputazione dell’amico Karsten, anche a Lavia, che Karsten intepreta, farà bene scoprire un “nuovo mondo”. Le qualità di certo non gli mancano.

Lo spettacolo continua:
Teatro Argentina

Via Torre di Largo Argentina, Roma
fino al 22 dicembre 2013
orari: ore 21.00, giovedì e domenica ore 17.00, sabato ore 19.00 (lunedì riposo)

Teatro di Roma presenta
I pilastri della società
di Henrik Ibsen
regia Gabriele Lavia
traduzione Franco Perrelli
con Gabriele Lavia, Massimiliano Aceti, Alessandro Baldinotti, Rosy Bonfiglio, Michele Demaria, Federica Di Martino, Camilla Semino Favro, Giulia Gallone, Viola Graziosi, Ludovica Apollonj Ghetti, Giovanna Guida, Andrea Macaluso, Mauro Mandolini, Graziano Piazza, Mario Pietramala, Clelia Piscitello, Giorgia Salari, Carlo Sciaccaluga
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Corapi
luci Giovanni Santolamazza
coproduzione Teatro di Roma, Fondazione Teatro della Pergola e Fondazione Teatro Stabile di Torino