Made in Usa

Ancora una volta il Teatro Dal Verme offre la possibilità di assistere a un cartellone decisamente interessante, raro e ben assortito, colorato a stelle e strisce.

Gli Stati Uniti sbarcano a Milano, ma non sono i soliti States fatti di blues, jazz e melodie alla moda: è il meglio di quell’epoca originale che ha segnato il passaggio tra Otto e Novecento – il periodo in cui si cercava un modo compositivo nuovo, gettando un occhio a ciò che succedeva in Europa.
La prima proposta che offre l’Orchestra de I Pomeriggi Musicali – diretta per l’occasione da Carlo Boccadoro – è The Unanswered Question di Charles Ives: sette minuti suggestivi che cominciano con un filo di suono, straordinariamente compatto ed equilibrato in cui si snodano le melodie degli archi; a queste si intrecciano i fiati, con la tromba fuori scena che ripete il medesimo inciso, quasi una domanda a cui rispondono flauti e oboi con una sorta di variazione sul tema, invadenti e in netto contrasto con l’atmosfera serafica, quasi mistica creata dagli archi. Su questo dualismo è basato tutto il brano ed è ben presentato da Boccadoro che – essendo altresì compositore – è riuscito ad analizzare a fondo il tipo di musica, proponendola nel modo interpretativo più adeguato.
Senza dubbio Ives è un’eccellente introduzione al Concerto per violino e orchestra op. 14 di Barber che, tuttavia, mantiene l’impianto tonale, senza apporre stravaganze novecentesche. Meno innovativo del pezzo di Ives, forse la sua peculiarità è che – pur essendo stato composto nel 1939 – ha molte caratteristiche del concerto romantico: ad esempio, il grande lirismo del violino che, già in apertura, afferma tutte le sue doti di cantabilità – grazie anche alla sensibilità musicale e al suono caldo e consistente di Markus Placci. Questa, del resto, è una composizione dove le possibilità timbriche sono esplorate approfonditamente, sia quando si pensi al solista sia in relazione all’orchestra – con predilezione per le sonorità ricche e intense. Fortissimo è il dialogo tra i due elementi, con frasi iniziate dal violino e terminate dall’orchestra – aspetto, questo, che torna con grande frequenza nell’Andante. Il terzo e ultimo movimento – Presto in moto perpetuo – è un autentico continuum virtuosistico che si contrappone completamente alla cantabilità dei due tempi iniziali. Placci esegue tutto con sicurezza, attento a dar rilievo a dissonanze e modulazioni e intento a emergere da un’orchestra che lo sostiene molto bene e che, in questo finale serratissimo, è di un tempismo perfetto. Il che consente a Placci di chiudere in gloria. Il pubblico – probabilmente in apnea negli ultimi concitati minuti – alla fine si abbandona a un caloroso applauso di apprezzamento, speranzoso in un bis che però non arriverà.
L’intervallo serve dunque a riportare un respiro regolare in sala, ed è perfetto per affrontare Appalachian Spring di Copland. L’organico si riduce a tredici strumenti – ottetto d’archi più contrabbasso, flauto, clarinetto, fagotto e pianoforte – dando una dimensione quasi cameristica a un brano etereo e semplice nella struttura, dove spesso gli strumenti suonano all’unisono. Pezzo rigoroso, quasi severo, lontano dalla musica americana che generalmente conosciamo – e pensare che Copland è stato uno tra gli insegnanti di Gershwin – ma che chiude in modo adeguato una serata all’insegna del non banale, in cui si sono rivelati al pubblico milanese nuovi mondi sonori.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Dal Verme
via Giovanni sul Muro, 2 – Milano
giovedì 12 aprile, ore 21.00

Ives The Unanswered Question
Barber Concerto per violino e orchestra op. 14
Copland Appalachian Spring

Violino Markus Placci
Direttore Carlo Boccadoro
Orchestra de I pomeriggi Musicali