L’altra faccia del teatro contemporaneo

I Sacchi di Sabbia. La Compagnia, composta da Giovanni Guerrieri, Giulia Gallo, Vincenzo Illiano, Gabriele Carli, Federico Polacci e Giulia Solano nasce a Pisa nel 1995. La sua cifra distintiva è la capacità di trasfondere nella tradizione del teatro popolare temi e linguaggi contemporanei, mixando con intelligenza autoironia e ricerca – con un tocco surreale.

1) Quali sono le problematiche che deve affrontare chi produce teatro contemporaneo fuori dagli ex Stabili?

2) Quali dovrebbero essere i parametri e i principi di una Legge quadro sul finanziamento della produzione teatrale dal vivo che risponda alle esigenze delle Compagnie off?

Giovanni Gerrieri: «I problemi che affrontiamo come Compagnia finanziata solamente a livello regionale, da quando i parametri si sono uniformati a quelli ministeriali, sono aumentanti. Facendo un esempio pratico, i contributi Enpals che dovremmo versare o il numero di repliche che dovremmo fare per ottenere i contributi sono diventati proibitivi. Anche perché I Sacchi di Sabbia producono i propri spettacoli con il supporto della Lombardi/Tiezzi, che vi contribuisce (avendo anche fondi ministeriali) per il 90%. Il problema nasce quando facciamo, come Sacchi di Sabbia, dieci repliche, perché le stesse saranno attribuite da Regione Toscana alla nostra Compagnia solo una volta su dieci, mentre nove repliche saranno attribuite al mio co-produttore al 90%, ossia alla Lombardi/Tiezzi. Una coproduzione virtuosa (che permette a chi è finanziato a livello statale di distribuire parte dei fondi su una Compagnia minore) finisce per diventare un meccanismo distorto che ci impedisce di accedere ai fondi regionali per una riparametrazione assurda che fa discendere dalla suddivisione del capitale impiegato anche l’effettivo impegno della nostra Compagnia nei teatri. Per quanto riguarda la nuova Legge quadro sulla produzione dello spettacolo dal vivo, bisogna partire dal fatto che oggi ci troviamo di fronte a un paradosso. Le realtà istituzionali che distribuiscono e ospitano, così come gli amministratori, pretendono i numeri. Si vuole il ritorno immediato in termini di spettatori senza badare al fattore investimento, cioè alla costruzione di un pubblico attraverso tutta una serie di proposte che cambiano anche i meccanismi di fruizione e apprezzamento da parte dello stesso. Alla fine, lo Stato premia (distribuendo le tasse dei contribuenti) coloro che fanno molte repliche e hanno un alto numero di spettatori, ossia i teatri commerciali. Questo fattore costringe anche chi ha sempre fatto un altro genere di teatro e i centri di produzione a stendere un velo culturale su operazioni prettamente commerciali, ossia a mettere sul palcoscenico il nome di richiamo, soprattutto televisivo (o da botteghino di altri tempi), che interpreti un testo classico o sia diretto da un regista che abbia un passato di ricerca».