Quelli che ben pensano

C’è chi nel labirinto di Creta ci vedeva rinchiuso un semidio, chi un abominio e chi un tale di nome Asterione. Per la compagnia torinese Anomalia Teatro, invece, a essere intrappolati nell’archetipo di ogni prigione siamo tutti noi, le vittime di un sistema di dominazione patriarcale che scansa, ripudia e giudica l’alterità, punendone l’incapacità di piegarsi al dogma della messa a reddito della vita che tanto sta a cuore a tutti i sovrani di ogni epoca, da Minosse al signor Capitale. Icaro: uno spettacolo riottoso, come i suoi interpreti.

Nel 1979, lo studioso di miti e germanista Furio Jesi introduceva, nel suo Cultura di destra, il concetto di “mito tecnicizzato”, ovvero quella «manipolazione di materiali mitologici» che strumentalizza determinate immagini al fine di creare miti da innalzare a strumenti ideologici asserviti a questa o quella finalità politica (nel caso specifico, di stampo fascista e neofascista). Una tecnicizzazione in cui è di casa «la cultura entro la quale il passato è una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare e mantenere in forma nel modo più utile. La cultura in cui prevale una religione della morte o anche una religione dei morti esemplari […]. Una cultura insomma fatta di autorità e sicurezza mitologica circa le norme del sapere, dell’insegnare, del comandare e dell’obbedire». Una descrizione che calza a pennello alla maggior parte delle democrazie liberali a capitalismo avanzato o, nella declinazione che ne fa lo spettacolo Icaro di Anomalia Teatro, anche al regno del noto Minosse, re di Creta.

Difatti, con la complicità di Pasifae, Dedalo, Icaro e del Minotauro, la drammaturga Debora Benincasa intesse un arazzo dal sapore antico ma dai colori decisamente contemporanei. Qui, nell’invidiabile isola con spiagge Bandiera Blu, viali sempre illuminati a giorno e tanto, tanto decoro, il dramma labirintico si tinge di patriarcato, realismo capitalista à la Mark Fisher (per cui è impossibile anche solo immaginare un’alternativa coerente allo stato delle cose) e oppressione: «c’è un lunghissimo tavolo, oltre il quale balla il potere. È un re che ti sorride, ti allunga la mano e ti chiede di essere felice. Essere felice è un tuo diritto, ma anche un tuo dovere. Le tovaglie sono candide, lo champagne è nei bicchieri e la vita è una festa a un cui non puoi sottrarti, né restare in un angolo o prendere fiato. Balla. E cerca di sorridere in maniera convincente». Passando dunque dal mito vero e proprio, Icaro ripropone il concetto di mito jesiano, affrontando (tra le altre) la questione oramai politicamente trasversale del decoro (prima appannaggio della sola destra e oggi campo fertile anche per chi dice di trovarsi dall’altro lato della barricata), fondato anch’esso, come gran parte delle ideologie nazionalistiche, su un mito, su un bel tempo che fu, come quello di una Torino senza meridionali, ad esempio, o, in modo più recente, quello di un’Italia prima dell’arrivo degli immigrati.

Per mettere a nudo questo gioco di framing ideologico, Anomalia Teatro introduce la figura di Icaro, figlia (sic!) del geniale -ma pur sempre servo dei poteri forti- Dedalo, la quale, dall’alto della sua salvifica trasversalità, fa luce su tutte le nefandezze di corte, smascherando con zelo ogni rapporto di potere quale conflitto (di classe e di genere) tra sfruttato e sfruttatore: il dominio maschilista di Minosse su sua moglie Pasifae e sui suoi sudditi, il vincolo del matrimonio come bara e lapide delle libertà individuali, il servilismo dell’inventore di corte verso i suoi padroni e, soprattutto, il labirinto come istituzione totale dove rinchiudere ogni Minotauro, quella bestia pericolosa in quanto diversa, atipica, altra. È dunque un’esuberante Francesca Becchetti nei panni della ragazzina ribelle, del tomboy, a doversi far carico dello scardinamento del mito politico creato da Minosse (Marco Gottardello) e riverberato dalle sue propaggini, ree di complicità e cieca obbedienza al Potere.

Al netto della gestione scenografica squisitamente ingegnosa e dell’impeto istrionico messo in scena da tutti e tre i figuranti, però, Icaro, forse per via di un brusco cambio di marcia a metà opera che strappa lo spettatore da un filo argomentativo trascinante per riposizionarlo poi in un contesto di oppressione altro, meno incalzante, al quale verrà concesso meno spazio per dipanarsi (per il quale, difatti, sarà necessario offrire una considerazione finale, con tanto di musica di accompagnamento), non riesce a spiccare il volo, inciampando anch’esso sulle scorciatoie cognitive innalzate dalla macchina mitologica per far fronte alle complessità e all’opacità dei fenomeni contemporanei e sollevare così il pubblico/popolo dalla fatica di agire/ragionare in modo politicamente razionale.

Lo spettacolo è andato in scena:
Cubo Teatro
via Giorgio Pallavicino 35 – Torino
da mercoledì 2 giugno a domenica 6 giugno 2021
ore 19:30

Icaro
di Debora Benincasa
con Francesca Becchetti, Debora Benincasa, Marco Gottardello
regia Michele Mariniello
drammaturgia Debora Benincasa
scenografia Adele Gamba
costumi Simona Randazzo
disegno luci Andrea Gagliotta
una produzione Anomalia Teatro