Dal Galles alla vanificazione di ogni contesto

Al Teatro Argot è andato in scena Ifigenia in Cardiff, un lungo, disperato e potente monologo destinato a naufragare nella vaghezza.

Solitudine suburbana, atmosfera claustrofobica della provincia industriale che alcune anime tentano di ammortizzare a suon di alcool e droga, ricerca incessante e disperata di qualcuno con cui condividere l’insensatezza di un’esistenza alla deriva, ripiegata nel futile godimento edonistico e nell’impossibilità di spezzare l’apparenza esteriore, il tutto mentre il sistema sociale ed economico è capace esclusivamente di procrastinare e reiterare, fino al punto di massima entropia, una cultura di morte.

Gary Owen, drammaturgo del Galles, aveva probabilmente in testa questi punti quando nel 2015 scrisse il premiato Iphigenia In Splott, lungo monologo carico di enfasi ed energia che ritaglia uno scorcio crudo e terribile della vita della periferia di Cardiff, tra le gigantesche industrie e i docks portuali, tra i fumi delle ciminiere e la nebbia che sale dal suolo. Il Teatro Argot porta in scena il testo di Owen col titolo Ifigenia in Cardiff: già la decisione di plasmare il titolo per renderlo più comprensibile al pubblico italiano attraverso la sostituzione del nome del quartiere della capitale gallese per quello della città, la dice lunga su alcuni evidenti limiti dello spettacolo. L’ispirazione di partenza di un testo così radicato nelle condizioni specifiche dell’ambiente (tanto da essere inserito nel titolo) si perde nella trasposizione teatrale italiana: la dimensione alla Ken Loach risulta tradita dalla vaghezza relativa al contesto temporale (nessun elemento ci spiega l’ambientazione storica, solo i riferimenti ai cellulari ci garantiscono che si stia parlando degli ultimi 15/20 anni, mentre il testo originale faceva esplicito riferimento a un reduce inglese della guerra in Afghanistan), ma anche a quello geografico perché Roberta Caronia, unica attrice e performer sul set, connota i personaggi con dialetti italiani (per poi fare riferimento alla sterlina quando si tratta di parlare di soldi).

Eppure, una nota di merito va senz’altro all’attrice: Caronia sostiene con energia, in un’autentica performance fisica e nervosa, l’intera opera slittando continuamente identità e stati d’animo. Delirio metropolitano, speranze, amore, urla e pianto: tutto condisce la narrazione della protagonista, Effie, la neo-Ifigenia che come la figura della mitologia greca è disposta al sacrifico per il bene di tutti. Notevole prestazione della Caronia, che mostra come il flusso inarrestabile di Effie sia un tentativo estremo di contrastare l’horror vacui di una vita svuotata di senso, della quale non resta che l’opportunità del racconto. Questi elementi però assumerebbero un senso ben più pregnante se, loachianamente, le vicende fossero calate in un preciso ambito da criticare, sovvertire, quanto meno mettere in luce; probabilmente l’opera ne avrebbe giovato se fosse stata contestualizzata in un ambiente periferico italiano, perché il testo probabilmente avrebbe funzionato molto meglio. Altra soluzione sarebbe stata quella di restare legati all’originale, rimanere a Cardiff in maniera più esplicita. Come sentirsi coinvolti in un caso atroce di mala sanità e di disprezzo sociale, se l’intera opera sorvola sulla localizzazione e sul contesto? Quello che resta è la performance di un’ottima attrice, che non è poco, ma che dopo pochi minuti dalla fine dello spettacolo non lascia granché.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Argot
via Natale del Grande 27, Roma
dal 21 al 25 febbraio 2018
ore 20.30, domenica ore 17.30

Teatro di Dioniso presenta
Ifigenia in Cardiff
di Gary Owen
traduzione Valentina De Simone
regia Valter Malosti
con Roberta Caronia
light designer Francesco Dell’Elba