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Persinsala intervista Igor Mattei, attore, regista e, dallo scorso anno, con Marina Biondi, direttore artistico di Ad Arte, rassegna del cinema e del teatro indipendente svoltasi a Calcata lo scorso luglio, che, dopo l’entusiasmante Anno Zero della prima edizione, si annuncia ancor più sbalorditiva.

Iniziamo con un bilancio: quali erano le vostre aspettative per questo Anno Zero di Ad Arte – Calcata CineTeatroFestival?
Igor Mattei:
«Ha senso parlare di quali fossero le aspettative solo quando si ha avuto il tempo di aspettare. Personalmente, con la compagna di questa avventura, Marina Biondi, posso dire che in questa prima edizione è stato tutto talmente burrascoso e all’arrembaggio che l’aspettativa più alta è stat quella di riuscire a mantenere fede agli obiettivi del giorno stesso. Tutto quello che poi è stato realizzato e raggiunto era affatto scontato e per questo voglio idealmente ringraziare, senza nominarle una per una (sarebbero troppe), tutte le belle persone, che incontrate lungo questo cammino, hanno messo a disposizione se stesse e le proprie capacità professionali. Oggi più che mai non si ha alternativa: o si crede o si naufraga. E noi abbiamo voluto credere».

Oggi, con la seconda edizione del festival in piena fase organizzativa, quali sono le considerazioni su quanto avete fatto?
IG: «Seppur nelle mille difficoltà, riteniamo di aver tenuto fede alla nostra linea, che era quella di sostenere il teatro e il cinema sperimentale e indipendente. Quello che qualcuno ha, giustamente, definito sommerso, ma che esiste, ha grande valore culturale, pur non riuscendo a farsi strada, per motivi che spesso esulano dal fatto artistico.
Le lusinghe esterne per abdicare a questo nostro proposito non sono mancate, ma oggi siamo orgogliosi di non esserci piegati: la coerenza intelligente, che sa ascoltare e spiegare le proprie motivazioni, alla lunga, paga».

In questi giorni avete proiettato a Roma e Calcata il docu-film In direzione ostinata e contraria – Ad Arte, che il 20 febbraio sarà al Rialto, sempre nella Capitale. Che tipo di riscontro e di sensazioni avete avuto?
IM: «Il docufilm è il frutto di una lunga selezione di materiale video raccolto durante i quattro giorni di rassegna. Lo abbiamo montato con l’indispensabile collaborazione di Francesco Spagnoletti e Corin Alborghetti nei mesi immediatamente successivi alla chiusura del festival.
Inizialmente l’idea era di realizzare un video a scopo puramente promozionale, poi l’esigenza artistica di esprimere quell’avventura – interiore, prima che reale – ne ha determinato, più o meno consapevolmente, lo stile e i contenuti.
Da un punto di vista formale, abbiamo deciso di raccontare la gestazione e la realizzazione di questa edizione zero attraverso il montaggio di immagini di varia natura e provenienza (professionali e non). Lo stile utilizzato è stato volutamente meticcio, sporco, imperfetto, ma anche ricercato e altamente professionale, come d’altra parte è stata questa edizione.
Riprese arrangiate alla buona e in assoluta solitudine, attraverso un semplice telefonino fino all’allestimento del nuovo teatro alla greca. L’arrivo di aiuti da parte di amici, colleghi e professionisti (come quelli sopra citati) ha consentito di non perdere alcun vissuto e rubare fino all’ultimo istante, ogni frazione di emozione e di atmosfera a questa incredibile impresa
Abbiamo tentato, da un punto di vista tematico, il difficile compito di raccontare su molteplici e intrecciati piani contenutistici, la storia e il nostro amore per il paese di Calcata che ci ha ospitati, la passione per il nostro mestiere, i momenti più belli e quelli più difficili di questo evento, di ritrarre tutti gli artisti, gli spettacoli e le persone che con la loro presenza, consapevole e non, l’hanno reso possibile.
I lunghi minuti di approvazione del pubblico presente alla proiezione ci hanno convinti a farlo girare il più possibile, seguendo il modus distributivo di uno spettacolo per Roma e tutto il territorio nazionale».

Ambiente meraviglioso e spettacoli di qualità per un festival all’insegna della multidisciplinarietà: l’edizione 2014 è stata perfetta o è mancata in qualcosa per far sì che fosse come l’avevate immaginata?
IM: «Per quanto ci riguarda è stata perfetta per il fatto stesso di essere stata. Tecnicamente è chiaro come ci sia ancora molto da fare, aggiungo per fortuna, ma – per gli strumenti economici avuti a disposizione – siamo stati piùcheperfetti. A essere mancata è stata, appunto, un’adeguata ricompensa economica, a fronte del dispendio di tempo e energia impiegati da parte di tutti coloro che vi hanno preso parte. La mancanza di soldi da una parte avvilisce, ma, dall’altra, rende più partecipe, calda, umana e schietta l’anima di chi partecipa e conseguentemente l’atmosfera dell’intera operazione alla quale si collabora. Non viviamo in un momento di facili entusiasmi o sfavillanti ideali. Lo comprendo benissimo, ma proprio per questo è preferibile riuscire a lasciarsi coinvolgere che stare a bordo campo ad aspettare qualcosa o qualcuno che è sempre più improbabile che arrivi».

Come nasce Ad Arte? C’è stato un momento in cui avete pensato che sarebbe stato impossibile? Quando, invece, avete capito che ormai era fatta?
IM: «L’idea di una rassegna di questo tipo è presente da molti anni nella mia mente, tanto da averla proposta  diverso tempo fa a un altro comune della Tuscia Viterbese, purtroppo senza successo. Forse, le difficoltà lavorative di questi ultimi anni hanno fatto sì che la spinta motivazionale fosse anche più forte e sicuramente l’incontro con Calcata, dove abbiamo la nostra casa, ha fatto da musa ispiratrice.
I momenti di sconforto non sono mancati, quando non ci siamo sentiti compresi, fraintesi, abbandonati dalle istituzioni tra gli incomprensibili ingranaggi della burocrazia. Mai, però, si è pensato di lasciar perdere.
Quando, poi, a pochi giorni dal debutto sono entrati nell’anfiteatro (inaugurato con la nostra rassegna) i camion con cavi, quinte, riflettori, e in paese sono arrivati gli artisti, è stato allora che abbiamo pensato: ce l’abbiamo fatta».

State orientando la ricerca verso sponsor necessariamente in linea con il progetto o anche di totalmente diverso? Il pubblico farà la sua parte?
IM: «Ci stiamo muovendo indubbiamente su varie forme. L’esperienza dello scorso anno ci ha forgiati e ci ha fatto anche capire molte cose. Senza dubbio vogliamo continuare a cercare tra privati. E, anche se lo scorso anno la Regione Lazio, a due settimane dal debutto, ci ha negato ogni minimo sostegno economico, pensiamo che il pubblico sia indispensabile per lavorare con serenità. Certo, ottenere il sostegno pubblico non è facile e, inoltre, siamo diffidenti nei suoi confronti, perché spesso i parametri dei bandi di concorsi costringono a logiche e progettualità artistiche omologanti».

Sulla base di quali criteri avviene la selezione artistica e come coniugate la tradizione del posto con la scelta degli spettacoli?
IM: «Il sottotitolo stesso della nostra rassegna indica immediatamente i nostri criteri di selezione. Rassegna di Teatro e cinema di regia sperimentale e indipendente. Dunque testi classici e nuovi autori contemporanei collegati, naturalmente in forma nuova, a quella tradizione che nel teatro va da Strehler a Cobelli, da Castri a Pieralli e Ronconi, fino ad arrivare alla nuova generazione di registi come Latella e Malosti, ma anche alla poetica scenica di Raffaello Sanzio e Pippo del Bono; nel cinema, ai cosidetti anarchici dei contenuti e delle forme, come Marco Ferreri, Elio Petri, Pietro Germi, Antonio Pietrangeli, Valerio Zurlini e l’Antognoni sperimentale di Deserto Rosso, fino ad arrivare alla videoarte di oggi».

C’è un artista che vi piacerebbe invitare? Prevedete la possibilità di ospitare compagnie dall’Europa?
IM
: «Partendo dal fatto che la nostra rassegna si rivolge prevalentemente a tutte le realtà sommerse del teatro e del cinema italiano, non escludiamo l’idea di portare anche realtà estere e (in proporzione minoritaria) eccellenze già consolidate (rimanendo nel teatro, Walter Pagliaro, Teatro del Carretto, Danio Manfredini, Loris Petrillo).  Fermo restando che ci piacerebbe tornassero tutti quelli già selezionati per la scorsa edizione, su tutti la compagnia salernitana Collettivo Acca di Carmine Califano e Circo Amalassunta di Tiziana Marsili Tosto, venuti a sostenerci da altre regioni. Non è dall’estero che vogliamo ricominciare, c’è molta linfa vitale che va scoperta nel nostro paese».

Quale augurio vi proponete per la prossima edizione?
IM: «Riuscire a tener fede agli obiettivi artistici e riuscire a farli sposare sempre meglio con le caratteristiche del paese che ci ospita. Calcata non è una semplice location che deve fare da sfondo.
Calcata è e deve restare l’idea stessa di una possibiltà di (r)esistenza della diversità, che sia essa artistica, sociale o antropologica. È il tentativo permanente di ricerca di un altrove umano e artistico realizzabile hic et nunc. È un antico passato lanciato oltre il già detto e il già fatto, verso ciò che non è ancora e che potrebbe essere. È la forza magmatica, anarchica, fragile, ma prorompente della giovinezza che continua nel mondo e in ognuno di noi se solo la si riesce ad ascoltare e lasciare parlare.
È un augurio importante quello che facciamo alla nostra prossima edizione perchè, parafrasando La canzone dei vecchi amanti di Franco Battiato, ci vuole talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti».