Sotto il cielo di Palestina, ai poveri le stelle e i poeti

teatro-elicantropo-1071545_0x440Sarà in scena questa sera per l’ultima replica, dopo un mese di programmazione al teatro Elicantropo di Napoli, Il cielo di Palestina (con la regia di Carlo Cerciello), un omaggio sentito e commovente al popolo palestinese che da anni sopravvive a se stesso e alle continue violazioni da parte degli Israeliani.

Era l’anno 2000 quando il registra Carlo Cerciello portava in scena per la prima volta al Teatro Elicantropo di Napoli lo spettacolo teatrale Il cielo di Palestina.
L’augurio a quei tempi era che il contrasto tra la componente ebraica e quella araba sul possesso della Palestina si appianasse, che quanto prima la Risoluzione 181 dell’Assemblea generale, ovvero il piano di ripartizione della Palestina firmato dalle Nazioni Unite nel 1947, venisse finalmente rispettato. Tutto questo non è avvenuto né allora né oggi; i Paesi arabi – dopo quasi settant’anni dall’inizio dei conflitti – continuano a non riconoscere lo Stato di Palestina e il diritto del popolo ebraico a vivere una terra, che non è una terra qualsiasi, ma la loro.
Siamo al gennaio 2016: Il cielo di Palestina torna in scena nello stesso teatro per un mese di repliche. Una piéce che ancora una volta vuole essere un omaggio al popolo palestinese a favore del quale è apertamente schierato; una goccia nel mare della sostanziale indifferenza dei Paesi Occidentali nei confronti dei suddetti conflitti israelo-palestinesi.
Lo spettacolo comincia con la proiezione di un documentario che riepiloga i contrasti e i numeri di una vera e propria tragedia umana; uomini e donne che vedono la loro casa saltare in aria con dieci minuti di preavviso, che vengono impossibilitati a fare ritorno nella propria terra dopo essersene allontanati, che vengono arrestati e condannati senza processo, che a dodici anni smettono di essere considerati bambini, vengono ritenuti adulti e – in quanto tali – sottoponibili ad arresto.
Dopo questo momento introduttivo, che avviene in uno spazio iniziale del teatro, si accede alla sala dove a essere raccontata è la storia di un maestro comunista palestinese, che tra passato e presente rivive e fa rivivere in scena tutto il dramma e la sofferenza quotidianamente vissuti dai Palestinesi.
La narrazione si dipana su più livelli: alla storia e alle riflessioni del maestro in età adulta (portato in scena da Omar Suleiman, palestinese di nascita, napoletano di adozione) che si mescolano a quelle di lui stesso in età giovanile al momento del suo arresto da parte degli Israeliani, si affiancano i racconti/ ricordi di Fares, suo giovane allievo, che fu ucciso prima di poter fare ritorno a casa per riabbracciare la sua famiglia.
C’è poi in alto, a un piano superiore della scena, la presenza di un coro femminile, che con i suoi interventi conferisce solennità e sacralità alla storia.
Molto intensa è l’interpretazione degli attori in scena, serrati sono i dialoghi, appassionati i monologhi, la scenografia essenziale. Lo spettatore riesce a immergersi completamente nel racconto grazie anche ai cambi di luce strategici, agli effetti sonori decisivi, al fumo della macchina e a tutti gli effetti scenografici che contribuiscono a incrementare costantemente il pathos fino alla catarsi finale, in cui il poeta rende omaggio a un verso della letteratura palestinese “i ricchi hanno dio e la polizia, i poveri le stelle e i poeti”.
Se è vero – come è vero – che un verso è solo un verso, si dovrà pur ammettere che senza tutti questi versi messi insieme l’Umanità perderebbe spessore.
Si dovrà dire che il teatro, la poesia e l’arte in ogni loro declinazione, pur non riuscendo a cambiare la realtà, né a renderla più accettabile, riescono a creare – per chi ha orecchie, occhi e cuore attenti – una grande rete umana nella quale ogni individuo è parte del tutto, particella insostituibile e insieme microcosmica di un macrocosmo da condividere con l’Altro, l’Altro come specchio di un Sé, di quel Sé che è «essere umano e in quanto tale non può considerare estraneo nulla di umano», avrebbe detto il buon Terenzio circa 3 secoli fa.
Dovremmo cominciare dalla fine, dalla morte, solo così non avremo voglia di distruggere gli altri”: queste, tra le parole più emblematiche della messinscena.
Questo spettacolo è dedicato a Rachel Corrie, attivista statunitense uccisa a Rafah (nella striscia di Gaza) nel 2003 da un bulldozer israeliano poiché fece scudo con il suo corpo nel vano tentativo di impedire che fosse abbattuta una casa palestinese.
Rachel tenne di sicuro la testa alta contro la tempesta”, il cielo di Palestina fu l’ultima cosa che vide.

Lo spettacolo continua
Teatro Elicantropo
Vico Gerolimini, 3, 80138 Napoli
fino a domenica 6 febbraio 2016
orario 18.00

Il cielo di Palestina
progetto adattamento e regia Carlo Cerciello
con Omar Suleiman e Raffaele Imparato
Paolo Aguzzi, Gian Marco Ancona, Luciano Dell’Aglio
Fabio Faliero, Vincenzo Liguori, Fiore Tinessa
gli allievi del Laboratorio Teatrale Permanente  Veronica Bottigliero, Claudia Cimmino, Paola Cipriano, Antonio Coppola, Dario De Simone Livia Esposito, Gaetano Franzese Matteo Giardiello, Annalisa Iovinella, Ianua Coeli Linhart, Giovanni Meola, Monica Pesapane Carolina Rapillo, Roberta Ruggiero, Sara Savastano, Claudia Sorgiacomo, Agata Spina
Con la partecipazione di Imma Villa
scene Massimo Avolio, Roberto Crea
musiche originali Paolo Coletta
foto di scena Andrea Falasconi
aiuto regia Aniello Mallardo
assistente regia Serena Mazzei
Durata 60 minuti senza intervallo