Train de vie

Al Festival Tramedafrica riflettori accesi su nuovi risvolti della società africana e su temi altri. Athol Fugard e il Sudafrica, i protagonisti.

È la sala del Piccolo Teatro Grassi, questa volta, a ospitare un altro appuntamento del Festival Tramedafrica, che sta riscuotendo in questi giorni a Milano un buon successo di pubblico. In scena ci sono Mamadou Dioume – senegalese, e uno degli interpreti storici di Peter Brook – e Roberto Trifirò – nella duplice veste di attore e regista – a dare voce a Il conducente del treno, un testo del drammaturgo sudafricano Athol Fugard – che ha debuttato in prima mondiale nel 2010 a Città del Capo.

In realtà, più che di una messinscena, in questo caso si tratta di una lettura del testo – ispirato a un fatto realmente accaduto nel 2000: ossia la morte di una donna, uccisa con i figli in un incidente ferroviario.

La scena è spoglia: solo due leggii uno a fianco all’altro, leggermente discosti, dietro i quali si posizionano gli attori che, ben presto, danno vita a un interessante confronto tra bianco e nero, tra pensieri, esperienze e sensazioni sullo sfondo di una città divisa, in cui coesistono due mondi che raramente trovano un punto di incontro e di contatto, in cui aleggia ancora l’alone dell’Apartheid. A segnare lo scorrere del tempo e il susseguirsi di albe e tramonti solo dei semplici giochi di luce, decisamente efficaci

È interessante scrutare i meccanismi che Fugard innesca drammaturgicamente: il bianco Rudolf Visagie entra, suo malgrado, in una dimensione tanto distante da lui, quanto coinvolgente e brutale. Il conducente del treno che ha investito la donna nera non può liberarsi dai rimorsi e intraprende un cammino alla ricerca del nome della donna che, in realtà, si rivela uno scavo dentro di sé, un lavoro ossessivo che Rudolf compie grazie anche all’incontro con Simon – il custode del cimitero dei neri senza nome – il quale si prende fraternamente cura di lui.
Il risultato è sconcertante: il cambiamento avviene a livello di punto di vista. Ma appena il “bianco” comprende appieno il modo di vivere e di sentire dei “neri”, appena diventa “uno di loro” e capisce che non c’è differenza tra lui e Simon, tra lui e la donna, gli viene tolta la possibilità di vivere e di fare tesoro della sua esperienza.

Senz’altro il testo fa riflettere, ma a piacere sono le innumerevoli finezze psicologiche che contraddistinguono i personaggi di Fugard, e che sia Dioume sia Trifirò sanno interpretare senza ostentazione. Pur trattandosi semplicemente di una lettura, non è difficile per lo spettatore seguire il filo logico della pièce e volare con l’immaginazione.

Unico rammarico l’assenza in scena delle belle sculture di Moussa Traore annunciate in programma – ma rimaste nel Chiostro del Piccolo, e che sarebbero state una scenografia perfetta.

Lo spettacolo è andato in scena:
Rassegna Tramedafrica
Piccolo Teatro Grassi
via Rovello, 2 – Milano

Il conducente del treno
di Athol Fugard
traduzione Margherira Laera
regia Roberto Trifirò
con Mamadou Dioume e Roberto Trifirò