Il Festival inDivenire, giunto oramai alla terza edizione, andrà in scena fino al 12 ottobre allo Spazio Diamante di Roma, grazie all’intraprendenza di Alessandro Longobardi che ha affidato la direzione artistica a Giampiero Cicciò.

Si tratta di una manifestazione che ruota attorno ad un evento centrale, il Premio inDivenire per il Teatro e la Danza, il cui scopo è quello di dare visibilità alla vivace attività creativa delle nuove generazioni. È, pertanto, possibile assistere a performance di vario genere, ancora sotto forma di studio, nate da idee, intuizioni e progetti, cui sarà data l’opportunità di diventare spettacoli completi.

La danza – osserva Jean-Luc Nancy nel corso di un’illuminante intervista risalente a circa un decennio fa – «ha il privilegio, del tutto particolare, di esporre l’esposizione come tale. Ecco un corpo che si distende, che si lancia…».

Mentre assistevamo alle cinque esibizioni in programma il 28 settembre scorso, la riflessione di Nancy si è affacciata con insistenza alla nostra mente: esporre l’esposizione del corpo è il tratto essenziale della danza, di ogni danza. Ma la danza è anche un linguaggio, che ha una storia e una grammatica, fatte di gesti, di significanti, di contesti che rinviano gli uni agli altri e che tentano di rispondere alle domande del nostro tempo. I corpi si muovono in uno spazio, all’interno di una scena, rendono visibili idee e vissuti che altrimenti resterebbero confinati nella sfera privata. Ci sollecitano a entrare in contatto con le nostre ombre, è questo l’effetto estraniante della danza, trasferendoli in un codice di movenze e di ritmi: «la danza – continua, infatti, Nancy – è tempo, ma è tempo che in ogni momento è anche aperto come spazio. Non è tempo lineare».

Per chi danza, generare la risonanza dello spettatore (seduto), cercare di sincronizzarlo con lo spazio-tempo (irripetibile e inimitabile) che è il suo, è la sfida più alta. Non si tratta solo di produrre emozioni o di creare empatia tra chi danza e chi assiste allo spettacolo: lasciamo questo compito ai dispositivi estetici dell’industria culturale, soprattutto di tipo televisivo. Si tratta di costruire un dialogo tra le intenzionalità corporee, tra i movimenti agiti e quelli fantasticati, tra i gesti e i pensieri allo stato nascente, e di avere così accesso al senso dell’essere.

La danza, dichiara Valéry, «è una poesia generale dell’azione degli esseri viventi: isola e sviluppa i caratteri di questa azione, li distacca, li dispiega e fa del corpo che in quel momento possiede, un oggetto atto alle trasformazioni, alla successione degli aspetti, alla ricerca dei limiti delle potenze istantanee dell’essere». Se così stanno le cose, ci sembra allora che la danza contemporanea non dovrebbe esaurirsi in mera performance, per quanto virtuosistica, ma portare alla luce significati metafisici, progettualità esistenziali, di cui il corpo si fa veicolo espressivo. Le proposte selezionate nell’ambito del Festival inDivenire ci paiono andare in questa direzione, sebbene non siano tutte all’altezza del compito.

In Bisbigliata creatura – studio sulla fragilità, Mariella Celia e Cinzia Cità mettono in scena il graduale processo della nascita immaginaria del corpo. Non basta avere un corpo reale, infatti, ma – come suggerisce Lacan – occorre formarsene un’immagine che permetta di agirlo, come se potessimo vederci dall’esterno. La coordinazione senso-motoria è una conquista, che si ottiene imparando a padroneggiare l’unità di un corpo originariamente frammentato nelle sue membra: dalla prima infanzia all’età adulta, lo schema corporeo di ognuno conosce innumerevoli adattamenti e transizioni, in cui un ruolo essenziale spetta alla relazione coi corpi altrui. Le danzatrici, all’inizio simili a manichini che non riescono a reggersi in piedi e che si agitano meccanicamente, esplorano le potenzialità motorie dei loro corpi, che diventano tanto più vivi quanto più si intrecciano in sofisticate sinergie.
L’esibizione di Caroline Loiseau, Nothing to declare, è di notevole interesse, nonostante alcune imprecisioni tecniche dovute a una coreografia particolarmente impegnativa. Caroline si muove incessantemente da un luogo all’altro, caricandosi addosso un’improbabile quantità di borse, zaini, valige, che diventano parte integrante dello spettacolo. Portarsi dietro tutto è un’impresa impossibile, come attestano le rocambolesche piroette e i repentini tracolli di Caroline, ma rinunciarvi è altrettanto doloroso e spersonalizzante. Motion allo stato puro, viaggio, fuga, migrazione: «Niente da dichiarare» è la frase che si pronuncia nelle dogane, negli aeroporti, tra un confine e l’altro, in quegli spazi neutri che Augé ha battezzato «non-luoghi». La corsa affannosa è destinata a non finire mai; scegliere cosa portare con sé e cosa lasciare dà le vertigini. Resta da chiedersi se il perpetuo movimento dei corpi non coincida con la loro assoluta immobilità.

Anna Borini e Livia Massarelli sono le interpreti di Sorella mia, un’indagine appassionante e tecnicamente convincente sulla dimensione antropologica della sorellanza, che prende spunto dalle figure sofoclee di Antigone e Ismene. Sostegno e conflitto, amore e odio formano il cerchio – visibile sulla scena – all’interno del quale si sviluppa il rapporto tra due donne intente a coniugare le leggi non scritte del sangue con quelle della società, le esigenze della phýsis con quelle del nómos. Le azioni e le reazioni delle sorelle costruiscono una narrazione dell’archetipo femminile, dando vita ad un intreccio di assoli e di passi a due che sintetizzano la ricchezza e l’inquietudine dell’essere-duale, del doppio.

Deludente l’esibizione di Rocco Suma e Salvatore Sciancalepore che in Tutto ciò che devo dirti su di me (ma di cui non ti frega nulla) affrontano temi importanti con un linguaggio convenzionale. Fare una danza genderstyle richiede una complessa riflessione teorica, che non può (e non deve) scadere in mero esercizio narcisistico. Se non può esserci realtà senza immaginario, per incidere sulla prima occorre anzitutto rilanciare il secondo, anziché appiattirlo sull’esistente.

Wood mu’, ideato e interpretato da Benedetta Capanna, introduce lo spettatore in un orizzonte artistico dove le pretese didascaliche e gli intenti descrittivi lasciano il posto alla ricerca del rigore formale e dell’astrazione. Un’intera visione del mondo, che sembra alludere al buddismo Zen o a forme consimili di spiritualità orientale, prende vita sulla scena: l’universo non è una concatenazione meccanica di cause e di effetti, ma – per usare le parole del celebre coreografo Merce Cunningham – «una galassia di eventi in cui tutto interagisce».

La danza, dunque, non ha il compito di riprodurre mimeticamente il vero, ma di rivelarlo: non si tratta di narrare una sequenza di eventi, né di comunicare un messaggio determinato, ma di creare delle incursioni coreografiche, non afferrabili nei termini della logica tradizionale. Sul palco, Benedetta si fa legno (mu’), il primo dei Wu Xing (cinque elementi) cinesi : è associato alla primavera, alla rinascita, al verde. Come un bambù, forte e flessibile, che ha bisogno dell’umidità dell’acqua per nutrirsi, partecipa alla vitalità del tutto. Le figure, ora ondulate ora immobili, accennate da Benedetta sulla scena partecipano a questo soffio cosmico e ci ricordano che danzare è, in fondo, «un immediato e gradevole atto di vita» (Cunningham).

Gli spettacoli sono andati in scena
Spazio Diamante
Via Prenestina, 230B – Roma
28 settembre 2019, dalle ore 19.00

Bisbigliata Creatura – studio sulla fragilità
di e con Mariella Celia e Cinzia Sità
suono Gianluca Misiti
costumi e make up Mariella Celia e Cinzia Sità in collaborazione con Francesca Innocenzi
coproduzione Associazione Sosta Palmizi (Cortona)
con il sostegno di Vera Stasi (Tuscania), Teatro Azione e Carrozzerie N.O.T. Roma, ALDES (Lucca), Teatri Sospesi (Salerno), Dance Galery (Perugia)

Nothing to declare
coreografia Yoris Petrillo
con Caroline Loiseau
produzione Compagnia Y. Petrillo/Cie Twain

Sorella mia
di e con Anna Borini e Livia Massarelli
produzione Compagnia Li’An Dance

Tutto ciò che devo dirti su di me (ma di cui non ti frega nulla)
coreografia Mario Coccetti
con Rocco Suma e Salvatore Sciancalepore
produzione Compagnia S Dance Company

Wood Mu’ – Per l’eterna primavera danzo
di e con Benedetta Capanna
produzione Ass. Cult. PinDoc Onlus