Quando tutto è superfluo alla poesia di una corda tesa sul vuoto

Dal 4 al 6 ottobre, al Teatro Vascello Daniele Salvo porta in scena uno dei testi più intimi e profondi del drammaturgo francese Jean Genet, sforando in direzione dell’eccesso.

Un posto rilevante nell’immaginario degli artisti del Novecento (pittori, scrittori, registi cinematografici) lo assume il circo, come luogo della sfida e della temerarietà, del talento e dell’oltrepassamento dei limiti dell’umano, della forza dei corpi e della fantasia infantile. Ancora più nello specifico, un posto di prim’ordine la assume la figura del funambolo, dipinta tra i tanti da Chagall e Klee: il funambolo è la più efficace metafora del rapporto dell’individuo con il mistero e l’impossibilità di padroneggiare il tempo, dello stare in bilico perenne tra passato e futuro, tra l’eternità e la morte. Soprattutto la morte, che è lo spessore significante e spirituale che offre a un apparente banale equilibrista di assurgere a figura mitica.
Questo deve aver intuito un grande drammaturgo come Jean Genet, quando alla fine del 1956 conobbe il giovanissmo Abdallah Bentaga, agendo sul suo pensiero come un magnete fino a plasmare la vita e l’attività del ragazzo tunisino quasi fosse materia sensibile utile alla creazione artistica. Proprio Genet fa di Abdallah un funambolo, che lo convince a continuare dopo essere caduto, che imprime nella sua mente l’autentico significato della sua missione; il ragazzo morirà suicida diversi anni dopo, confermando quell’inquietante risvolto che l’arte a cui avevano dato corpo lui e il poeta fosse la stessa morte, sfidata, sfiorata così tante volte da essere diventata “cosa sua”.

Da questa esperienza, Genet tirò fuori uno scritto, una specie di poema, risultato di una serie di scambi epistolari tra lui e il giovane circense; il testo del drammaturgo francese è di una potenza rara, per suggestioni erotiche, considerazioni filosofiche, ispirazione decadente. Daniele Salvo raccoglie questo materiale così “sacro” e così difficile da manovrare per realizzare lo spettacolo Il fumabolo, portato in scena al Teatro Vascello con Andrea Giordana nei panni dello stesso Jean Genet, e Giuseppe Zeno in quelli di Abdellah. Lo spettacolo si avvale di una quantità forse esagerata di elementi, come se lo spettacolo dovesse trasmettere, in una molteplicità di stimoli, tutta la potenza del mistero della figura mitologica del funambolo, appeso tra la vita e la morte; tuttavia, quella potenza basta una corda ad esprimerla, e i versi di Genet sono l’espressione sensibile più diretta ed eloquente in questo senso, proprio perché è proprio la parola poetica a oscillare continuamente tra il dire e il silenzio, come su una corda sospesa nel vuoto.
Salvo invece carica a dismisura il palcoscenico, restituendo tutta l’atmosfera del circo: una coreografia multimediale, di grande impatto visivo, così come un disegno luci barocco (forse troppo) che crea la cornice di una serie di simboli a volta anche scontati: l’atmosfera grandguignolesca, persino burlesque, introduce la cantante-attrice Melania Giglio nelle vesti di un clown mortifero che dirige e dà corpo alla danza macabra, mentre i due straordinari danzatori Yari Molinari e Giovanni Scura offrono la trasposizione visiva dell’allusione omoerotica che la vicenda di Genet mantiene in tono implicito.

Perciò musica, danza, circo, il tutto con l’ausilio di proiezioni d’epoca e giochi effettistici da cinema: ciò che però lascia il segno, e non poteva essere altrimenti, è il testo tagliente e trascinante di Genet, che Giordana esprime bene pur compiendo qualche passo falso. In altri termini, lo spettacolo sembra girare in tondo battendo sempre sugli stessi elementi, e ciò che lo salva è proprio la sua quintessenza, ovvero la grandezza del testo che sembra cozzare con l’esagerazione espressiva – un testo intimo, una confessione quasi, che avrebbe goduto maggiormente di una restituzione minimale, intimista, quasi bisbigliata piuttosto di venire urlata. Anche perché Il fumambolo di Genet è tutto fuorché un testo teatrale, e dal momento che bisogna tristemente ammettere che il teatro contemporaneo sta in qualche modo trascurando i capolavori teatrali del genio francese, portare in scena uno dei suoi classici immortali piuttosto che questo testo sarebbe stata una scelta più legittima; tuttavia, riconosciamo a Salvo la capacità di mettere in evidenza le profondità dell’animo dello scrittore, e anche l’aver dato visibilità e diffusione a un testo che merita una grande attenzione.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Vascello
Via Giacinto Carini, 78 – Roma
dal 4 al 7 ottobre
ore 21.00

Marioletta Bideri per Bis Tremila presenta
Il funambolo
di Jean Genet
traduzione Giorgio Pinotti
regia Daniele Salvo
con Andrea Giordana, Giuseppe Zeno, Melania Giglio, Yari Molinari, Giovanni Scura
scene Fabiana Di Marco
costumi Daniele Gelsi
musiche Marco Podda
luci Giuseppe Filipponio
coreografie Ricky Bonavita
video Paride Donatelli
audio Umberto Fiore