Il tempo e l’essenziale

«Si orienta sul macrotema della Materia del Tempo», il triennio 2015-17 che Natura Dèi Teatri dedica al monumentale artista Richard Serra, la cui celebre installazione The Matter of Time, ospitata dal Guggenheim Museum di Bilbao, ha segnato una cesura nelle modalità di percezione pubblica dell’opera d’arte.

In particolare, è Punto Cieco il «tema concettuale» individuato dall’edizione 2016 per declinare l’arte quale «visione […] non necessariamente corrispondente alla realtà», «illusione, immagine irreale, miraggio» che «il cervello solo suppone che […] sia la realtà».

Un programma culturale densissimo che «amplia la propria programmazione strutturandosi in due parti: la prima in apertura della stagione estiva […], la seconda nella consueta collocazione autunnale, dal 17 novembre al 3 dicembre», in cui Lenz presenta il terzo e conclusivo atto del progetto Il Furioso con la messa in scena degli ultimi quattro episodi del capolavoro di Ludovico Ariosto in un contesto di straordinaria e dialettica suggestione, il Tempio per la Cremazione di Valera, luogo dove l’avvento dell’estremo saluto al corpo che fu rimanda, per glaciale contrarietà, all’assolutizzazione di quell’immateriale che accomuna trasversalmente chi è ancora.

Dopo aver suggerito dialoghi anarchici con l’ecologia di allestimento (Promessi Sposi) o avervi forzato il pubblico all’erranza spezzata (Verdi Re Lear, il primo Furioso), è con lacerante, ma discreta complessità che Maestri e Pititto ambientano l’intreccio dell’amore impossibile tra Orlando e Angelica, Bradamante e Ruggero, Zerbino e Isabella in una successione di episodi al limes della linearità e della frontalità, così mostrando una fedeltà narrativa inedita e sospetta, perché incapace di spiegarsi con la ricerca di una completa attenzione e concentrazione, dunque secolare immersione, da parte degli astanti

Lo sviluppo da l’illusione a la follia, da la morte a la luna non è, però, affatto il goffo tentativo di compensare con il didascalico la profondità di un contesto letteralmente lancinante. Nonostante la tentazione alla semplificazione sia pericolosamente alla portata per un ipotetico sguardo tradizionale (accademico, più che medio), l’accostamento dispiega in realtà l’ennesima perturbazione di una poetica che vaga consapevolmente nella piena instabilità creativa, così disvelando il proprio autentico focus nella presenza di attori negativi rispetto all’ordinario estetico e antropologico.

Di fronte alla quasi canonicità dell’apparenza drammaturgica e allo scontato protagonismo del Tempio, emerge adamantina la spontaneità con cui Walter Bastiani, Frank Berzieri, Marco Cavellini, Massimiliano Cavezzi, Carlo Destro, Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera, dando concreta prova dell’ampiezza di un inaudito e virtuosistico controllo della scena, instaurano un’autentica relazione d’improvvisazione esistenziale con l’incontrollabilità del site-specific, modalità non a caso tipica di quell’arte urbana cui Richard Serra è immeso interprete e che, quando presa sul serio, offre all’artista la sfida forse più radicale e di certo senza tempo.

In questo clima di serrato corpo a corpo tra intenzione della e condizionamento dalla realtà la questione culturale della morte accosta quella puramente biologica, ponendo interrogativi che rimandano all’inesprimibile per risposte da «cercare senza mai trovare»: se «morire è tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile» (Erich Fromm), quante volte accade di vivere o morire? Cosa ne determina l’effettiva estensione? Qual è, di conseguenza, il tempo dell’esistenza?

Ereditando dall’Ariosto ben oltre che la semplice struttura portante di un poema che ha fatto la Storia e sussumendone la natura polemica (dell’antropocentrismo rinascimentale) nel rifiuto di qualsiasi forma di sottomissione al mentalismo, Lenz ne recupera dunque proprio il tempo – l’inattuale annuncio della crisi della natura umana (pars destruens) – e l’essenziale – la concreta inclusione di tutte le sue componenti, anche fantastiche e irrazionali (pars construens).

Un esito, forse sottile da scorgere tra le ingombranti maglie di una strepitosa architettura scenografica e imagoturgica, ma ancora una volta esemplare nel suo essere raggiunto attraverso l’abisso creativo di chi si autorappresenta in funzione estetica e spettacolare e, per esempio, coglie nell’assenza della Luna (compagna nelle precedenti repliche) non l’impossibilità di un dialogo, ma l’apertura al confronto diretto con il cielo e le stelle.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Natura Dèi Teatri 2016
Tempio per la Cremazione

Valera, Parma
16-17-18 giugno, 23-24-25 giugno, ore 21:30

Il Furioso (2)
#5 L’illusione #6 La Follia #7 La Morte #8 La Luna
dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
drammaturgia, imagoturgia, scene filmiche Francesco Pititto
installazione, elementi plastici, regia Maria Federica Maestri
music Andrea Azzali
performer Walter Bastiani, Frank Berzieri, Marco Cavellini, Massimiliano Cavezzi, Carlo Destro,
Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera
direzione tecnica Alice Scartapacchio
cura Elena Sorbi Organizzazione, Ilaria Stocchi
comunicazione Valeria Borelli
ufficio stampa Michele Pascarella
tecnici Lucia Manghi, Stefano Glielmi, Marco Cavellini Assistente, Roberto Riseri
produzione Lenz Fondazione
progetto realizzato con il sostegno di DAISM-DP Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale
Dipendenze Patologiche AUSL di Parma
in collaborazione con So.Crem Società per la Cremazione, Ser-Cim Servizi Cimiteriali
con il sostegno di MiBact, Regione Emilia-Romagna Comune di Parma, Provincia di Parma, Fondazione Monte di Parma, Università degli Studi di Parma Chiesi Farmaceutici, Festival Verdi