La felicità sospesa dei bambini

Allestimento di Alessandro Serra all’Argentina, per un classico che parla al nostro tempo.

Ljubov’ Andreevna Ranevskaja (Ljuba), torna dopo cinque anni alla tenuta, con la figlia Anja. Si ostina a procrastinare il momento in cui dovrà vendere la proprietà, compreso il tanto amato giardino dei ciliegi.

Lopachin, servitore in quella stessa casa prima dell’abolizione della servitù della gleba, cerca di convincere la padrona a ricavare dal giardino tanti lotti da affittare ai villeggianti, prima che i debiti impongano la vendita all’asta. Tuttavia si discute sempre d’altro. Gaev, fratello di Ljuba, straparla su tutto, inseguendo spunti di vita che, invece di essere assunti, divengono frivola letteratura. Ljuba continua a sperperare imperterrita i soldi ottenuti in prestito dallo stesso Lopachin, ora ricco commerciante.

Serra condensa il momento di rigidità nostalgica nella camera dei bambini, vagheggiata da Ljuba e Anja lungo tutto il dramma. L’idea è che la stanza sia un universo sospeso, una sorta di cosmonave in viaggio verso il mondo dell’infanzia, rimasto a vivere chissà in quale pianeta della memoria. Nella prima scena, tutti i personaggi non impegnati nell’azione, sono sdraiati a terra immobili, come in sospensione criogenica. Piuttosto che dalle quinte, entrano in scena semplicemente alzandosi da terra, dando la sensazione di abitare un universo mentale quasi psicotico.

La messa in scena di Serra dà la sensazione che i personaggi si riducano di fatto a uno solo, a un carattere quasi autistico, in cui nessuno dà ascolto a nessuno. Quasi tutti indossano la stessa marsina scura, dentro la stessa scena nuda. Assumono le fattezze di caricature buffe (soprattutto il possidente Piščik), tanto da stilizzare le azioni in gag quasi keatoniane, come nella scena del bacio tra Jašha (che fuma il sigaro) e Duniašha, con quest’ultima che si trova imbarazzata a sbuffare fuori il fumo di lui.

L’impressione è che Serra cerchi di movimentare il testo, di dargli un nuovo giro di vita, di adattarlo a un nuovo gusto, o semplicemente di trovare una chiave mai utilizzata, per rendere nuovo un classico oramai più che visitato. Se Čechov costruisce la sua drammaturgia come un lungo fiume tranquillo, privo di apparente dinamismo, di picchi sia drammatici sia comici, la regia prova a verniciare tutto con una patina quasi fumettistica, sulla base che l’infelicità creduta immeritata, e si dispone a far scaturire naturalmente il comico.

La drammaturgia induce così i personaggi a una regressione grottesca, contenuta nel testo, ma che Čechov copre di una nuvola malinconica che in questo allestimento diviene estremamente rarefatta, e tale da indurre qualcuno tra il pubblico a sonore risate. La scena però in cui Lopachin confessa inebriato di essere il compratore del giardino, consumando così una sorta di vendetta che nei secoli trova ora il suo esito, ci riporta al nodo drammatico che conosciamo, con i personaggi simili a insetti rari che stanno per essere immersi nella formalina.

Ora è forse possibile sorridere, lasciandosi andare al pendolo verso una china drammatica che inghiottirà tutto, malgrado la resistenza a vivere il presente, l’adesso cioè della propria infelicità. Subito dopo si torna al sonno della memoria. Uno a uno tutti si distendono, con il maggiordomo Firs, ottuagenario prossimo alla morte, che dà l’idea di un ex ballerino di tap dance che si ostina a voler ripetere un numero improbabile.

Forse non siamo così dissimili dai personaggi di Čechov; siamo pieni di debiti ma continuiamo a ordinare al restaurant. C’è da chiederci se, raccontando del nostro tempo, un regista del futuro ci renderà così buffi da suscitare risate. Possiamo dire anche noi con Lopachin che “facciamo una vita da stupidi”, senza però avere un Čechov che possa fare capolavoro delle nostre nostalgie da sonnambuli.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina 52, Roma
dal 25 febbraio a l’8 marzo 2020
martedì e venerdì ore 21.00, mercoledì e sabato ore 19.00, giovedì e domenica ore 17.00, lunedì riposo

Il giardino dei ciliegi
di Anton Čechov
spettacolo di Alessandro Serra
con Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Fabio Monti, Massimiliano Poli, Valentina Sperlì, Bruno Stori, Petra Valentini
regia, drammaturgia, scene, luci, costumi Alessandro Serra
durata 115’ senza intervallo