Il regista Reza Keradman porta al Teatro Sala Uno l’ultimo capolavoro di Anton Čechov, l’agghiacciante affresco della società russa di inizio Novecento – che distribuisce equamente i suoi frutti marci tra un’oligarchia agonizzante e una borghesia materialista in piena fioritura.

“Lei guarda impavido in avanti. Ma non sarà perché non vede?” A distanza di un secolo le parole di Čechov ancora risuonano come un monito dal palco. L’accento è ironico, da commedia, ma indicibilmente tragico è l’effetto che si dilata nell’animo dello spettatore. Davanti ai suoi occhi – che ci vedono benissimo – si schierano, frivole e passivamente crudeli, le maschere di un’aristocrazia vittima di se stessa e delle sue patologie. I tempi della ricchezza e del benessere sono finiti da un pezzo, ma nessuno ha voglia di ammetterlo, come se accettare la fine di un’epoca, il manifestarsi di un dato sociale inconfutabile, fosse solo un vezzo cui cedere o meno.

Fa spavento Ljuba, protagonista dell’opera, fuggita a Parigi dopo la morte del marito e del figlio di sette anni, ora tornata a Mosca per restare. Nella sua figura, colma di disperazione, tragicamente scollata dalla realtà tanto da sembrare folle, si concentrano tutte le disfunzioni psicologiche e sociali della sua classe d’appartenenza. Fanno spavento i personaggi che vorticosamente le ruotano attorno, nobili sproloquianti e servi inadatti, tasselli di un mosaico di vacuità e miseria completato dalla presenza meschina del borghese amico di famiglia Ermolaj.Nulla di tanta forza rappresentativa si perde in questo splendido allestimento. La regia di Reza Keradman resta fedele allo spirito dell’autore, che voleva Il Giardino dei Ciliegi commedia, non tragedia come intese Stanislavskij. Ciò posto, non è mai più che un riso amaro quello strappato al pubblico di fronte a tanto disfacimento.

La scenografia minimale è comunque efficace grazie alla suggestiva cornice del Teatro Sala Uno che, di per sé, emana potenza evocativa, tanto più se valorizzata – come accade in questo caso – dalle luci giuste. Una scelta ardita, quella di procedere quasi in assenza di elementi fisici che diano visivamente ragione di un mondo scomparso da un secolo. L’abilità recitativa risulta così investita dall’immane responsabilità di agevolare il processo immaginativo e d’immedesimazione del pubblico: prova ampiamente superata da un cast impeccabile, che risponde positivamente agli stimoli della regia dando vita a un circo di movenze, tic verbali e atteggiamenti che resuscitano la verità dell’epoca narrata fin quasi a renderla tangibile.

Uno spettacolo toccante e intenso, che sa dare vigore non solo alla tematica storico-sociale, ma anche e soprattutto a quella intima: la fragilità dei rapporti umani, il tradimento e il desiderio di riscatto, il declino – lineare e implacabile – della vita: giardino fiorito nella primavera della giovinezza e arido arbusto nel gelido inverno degli ultimi giorni.

Lo spettacolo continua:
Teatro Sala Uno

piazza di Porta San Giovanni, 10 – Roma
fino a domenica 5 dicembre
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.00
(durata 1 ora e 45 senza intervallo)

Il Giardino dei ciliegi
di Anton Čechov
regia Reza Keradman
con Alessandra Raichi, Azzurra Antonacci, Giselle Martino, Massimiliano Cutrera, Jerry Mastrodomenico, Daniel Terranegra, Tony Allotta, Francesca Tomassoni, Alessandro Gruttadauria, Valentina Morini, Reza Keradman, Constantin Jopeck
scenografia Francesco Ghisu
costumi Seti Minovi
disegno luci e foto Davood Kheradmand
musiche Gabriele Rendina