Good Bye, Lutero

Al Teatro Argentina di Roma, va in scena Il giorno di un Dio. Uno spettacolo, scritto e diretto da Cesare Lievi, di sorprendente delusione.

All’ultimo lavoro di Cesare Lievi, Premio Ubu e Premio Unesco alla Cultura, non mancavano, di certo, le pregiudiziali di interesse. Dall’estrema suggestione di un’intenzione volta a indagare, in prossimità del 500 anniversario, quale sia l’attualità dell’epocale frattura lasciataci in eredità dalla riforma protestante alla direzione dello stesso Lievi di una importante coproduzione italo-tedesca (Stadttheater Klagenfurt, Teatro di Roma ed Emilia Romagna Teatro Fondazione), fino alla presenza di un cast dal poliedrico talento (dall’esperta Alvia Reale a Valentina Bartolo, che ricordiamo eccellente in Amore e resti umani di Bisordi), le premesse per una serata di autentico teatro sembravano esserci tutte.

Chiedersi, come fa Lievi, cosa sia rimasto a partire da «un evento storico di fondamentale importanza per l’Europa (la pubblicazione delle 95 tesi)», se «quello che siamo, ha ancora ha che fare con quello che è stato», se «gli interrogativi e le risposte date su Dio, la fede, la grazia, i sacramenti, la salvezza ci riguardano ancora», se «è ancora possibile un rapporto tra parola e verità», se «la fede porta necessariamente all’intolleranza e al fanatismo» significa, difatti, porsi dinnanzi a interrogativi di indubbia e stupefacente radicalità.

Sul palco del Teatro Nazionale romano, muovendosi tra una riflessione sul cosa e una sul come farne spettacolo, quattro personaggi discutono sull’opportunità e sulla possibilità di mettere in scena la modernità luterana («questa sera vogliamo ricordare Martin Lutero»).

All’interno di questo disquisire, che costituisce il disseminato e portante prologo che attraversa in itinere l’intera rappresentazione, Lievi inserisce «dodici frammenti scenici in memoria di Martin Lutero» in cui il teologo tedesco sarà presente in absentia attraverso stralci dai suoi scritti. Accompagnando ogni scena con la proiezione di titoli esplicativi (Prologo, Ascesa delle scimmie, Il corpo del padre, ecc), il registra bresciano affida la restituzione de Il giorno di un Dio a una duplicazione attorale di personaggi che, dunque, passando spesso da quattro a otto, si troveranno a recitare in alternato, in parallelo o sovratitolato in lingua italiana e tedesca.
Contemporaneamente a questa complicazione verbale, Lievi semplifica enormemente l’apporto informativo del testo, riducendo la vicenda al racconto dei più celebri episodi della biografia di Lutero (dagli studi di teologia agostiniana alla rivelazione che, se tutti, peccando, si sono allontanati dalla gloria di Dio, allora nessuno potrà essere in grado di meritarne la grazia attraverso le lusinghe o, peggio che mai, le indulgenze), e, soprattutto, ne comprime la profondità semantica attraverso affermazioni immediatamente polemiche e didascaliche («se tutte le interpretazioni sono individuali, qual è quella giusta?»).

La scelta risulta infelice per come declina un’esposizione priva di qualsiasi approfondimento sulla semplice ricerca dell’aneddoto e l’eccezionalità delle tematiche in una preoccupante assenza creativa, mentre il rapporto con l’autorità, la lettura diretta dei testi sacri e il massacro dei contadini, la ricerca della verità e il sacerdozio universale, la questione della tolleranza religiosa e la libera adesione a una fede legittimata dal rapporto filiale con Dio sono intuizioni che Lievi trasfigura in contrapposizione sceniche di estrema debolezza (tra scimmie capaci di salire le scale verso l’alto e uomini moderni irremediabilmente destinati a cadere) e dialettiche di molle inconsistenza (tra chi, al bar, chiacchiera e non vuole essere chiamato signora e chi cita con solennità passi luterani; o il travaglio di un figlio che torna ad avere un rapporto con il padre solo dopo averne mangiato l’ostia sacra al funerale e assunto l’anima).

Il disomogeneo gioco tra immedesimazione e straniamento determinato dal cambio di registro interpretativo (enfatico nel caso dei frammenti, ironico nelle varie parti del prologo) non realizza l’auspicata myse en abyme, mentre la sublimazione metaforica della crisi spirituale provocata da Martin Lutero cade pesantamente nell’atmosfera di assoluta e inutile ridondanza di uno spettacolo inutilmente lungo quasi due ore e i cui contenuti impallidiscono di fronte alla pagina di wikipedia citata, con un certo ironico sarcasmo, nei dialoghi introduttivi («ma chi era Martin Lutero», «il pubblico non lo sa», «guarda su wikipedia»).

Lo scandalo protestante, la rottura dell’unità linguistica dell’Europa colta, il peregrinare di Lutero tra Italia e Sacro Romano Impero sono tematiche che Lievi affronta non solo con una certa superficialità storico-letteraria, ma soprattutto senza offrire alcuna particolare qualità drammaturgica. Al netto di gravi imprecisioni (la ricerca di un volgare nazionale fu un’onda lunga di almeno un secolo che Lutero cavalcò e fomentò da protagonista, ma senza inventarsi nulla, e i sacramenti riconosciuti furono due e non tre, come, invece, affermato in scena), a mancare ogni connotazione autenticamente teatrale sono le questioni cruciali poste dallo scisma protestante e che pure si intendeva indagare (il rinnovato rapporto con l’autorità e il caso della libertà ermeneutica) .

Lievi sceglie, allora, di giocare la propria partita su alcune soluzioni ipoteticamente suggestive, ma la promessa di uno spettacolo capace di elevarsi dalla dimensione cronologica e di porsi alto di fronte a questioni esistenziali e antropologiche, filosofiche e temporali, naufraga di fronte a una rappresentazione tanto pedante per la banalità dell’allestimento quanto ininfluente nell’offerta dei contenuti.

Non un bel modo, davvero, per confrontarsi con chi, della storia dell’Occidente, è stato uno dei più autorevoli e determinanti protagonisti.

Lo spettacolo continua
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52 Roma
fino al 21 gennaio
martedì e venerdì ore 21.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
durata 1 ora e 50 minuti

Il giorno di un Dio
scritto e diretto da Cesare Lievi
dramaturg Sylvia Brandl, Philine Kleeberg
traduzione per la parte in tedesco Hinrich Schmidt-Henkel
con (in o. a.) Hendrik Arnst, Valentina Bartolo, Maximilian Brauer, Bea Brocks, Paolo Garghentino, Irene Kugler, Graziano Piazza, Alvia Reale
musica e musica originale Mauro Montalbetti
scene Maurizio Balò
costumi Birgit Hutter
disegno luci Cesare Agoni
produzione Stadttheater Klagenfurt, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione
spettacolo in lingua italiana