Viaggio fisico, viaggio psichico

teatri-pistoiaVenerdì 18 dicembre, a Pistoia, un’intera serata all’insegna della prosa e della sperimentazione con Teatro Sotterraneo e l’ultima regia di Antonio Latella.

Venerdì pungente, affastellato di luci: si attende il Natale. Venerdì è sempre l’ideale. E questa volta gli eventi sono due.
Pistoia, Centro Arti Visive Palazzo Fabroni. Con la Puntata 4: Da New York a Londra, si conclude la quadrilogia de Il Giro del Mondo in 80 Giorni, reading a puntate firmato dalla Compagnia Teatro Sotterraneo. L’ultima partenza è alle ore 19.00 in punto. Rivolto a tutte le fasce d’età, lo spettacolo si caratterizza fin da subito per la propria adattabilità, forte di una solerzia emotiva che fa presa sul target infantile, ma anche di mantenere più che buono il livello di maturità del dialogo. In sostanza, nessuno si annoia.
La narrazione imposta se stessa su di uno schema che riprende le dinamiche del gioco da tavolo: il responso delle carte pescate segna il corso degli eventi, mentre la cartina old style su cui gli interpreti, Sara Bonaventura e Claudio Cirri, immortalano gli step, acuisce l’idea di un percorso da gioco dell’oca – percorso su cui si scaraventano jolly, carte sventura, quiz e “pause didattiche”.
Quasi superfluo aggiungere che la presenza di “qualche colpo di scena” (come recita il sottotitolo dell’opera sul biglietto/locandina, che ricorda, non a caso, un ticket da viaggio) determina una forte interattività con il pubblico, portato in causa a ogni nuova prova proposta dal gioco/spettacolo. A contornare e accompagnare la narrazione, un’improvvisazione musicale, questa volta al pianoforte – modulato dalle mani di Nadia Tirino. Improvvisazione bella, ma inadatta all’acustica della sala, nella quale spesso e volentieri le note soverchiano le parole.
La massima originalità del progetto si ritrova nella decisione di smembrarlo in quattro parti, parti che si sono snodate tra luglio e dicembre allo scopo di proporre un viaggio percepibile nel tempo, oltre che nello spazio. Quest’ultimo non è presente soltanto nella dimensione narrativa, infatti, ma si realizza in un concreto spostamento della performance in varie zone della città, “cosicché nel seguir la storia si possa percorrere una sorta di Giro di Pistoia in 80 minuti” (come recita la locandina). E così si passa da Villa di Scornio (Puntata 1: Da Londra a Bombay) alla Biblioteca di San Giorgio (Puntata 2: Da Bombay a Yokohama), poi al Piccolo Teatro Mauro Bolognini (Puntata 3: Da Yokohama a New York), fino a Palazzo Fabroni, dove il tragitto si è concluso. Non avendo potuto assistere alle tre puntate precedenti, non ci è concesso fare confronti. Possiamo soltanto dichiarare l’apprezzabilità dell’ultima parte del progetto.

Ma la notte avanza, si sbraccia e ancora non ha percorso che uno sputo. Giunti al Teatro Manzoni troviamo un’aria calcata, crepitante di aspettative. L’attesa ha un qualcosa di nervoso, adrenalinico quasi. Si prova una sorta di pena. Perché Ti Regalo la mia Morte, Veronika, in prima regionale, non è uno spettacolo, ma una scommessa azzardata.
Al secondo incontro con il mondo di Fassbinder, Antonio Latella arriva a proclamare classica l’opera omnia del regista tedesco e, come un classico, mira a riproporre Veronika Voss, classe 1982. Per quanti non ne fossero al corrente: lontanamente ispiratosi a Viale del Tramonto, di Billy Wilder, Veronika Voss racconta il collasso psichico di un’ex attrice dell’Universum-Film AG, soltanto in parte frutto di fantasia, in quanto dietro il personaggio di Veronika si può scorgere l’attrice Sybille Schmitz. Non più giovane, l’ultimo grande personaggio femminile di Fassbinder (da qui il drammatico titolo) precipita – lambita dalle spire della morfina e di una clinica criminale. Spostando il punto di vista in lei, profondamente in lei, fin quasi a spezzarla, Latella sottopone la trama a una violenta deformazione sensoriale, sforzandosi di dare concretezza al coacervo di ricordi, terrori e depressioni che avviluppano l’universo mentale di Veronika. Il risultato è un’opera controversa, a tratti grottesca, densa d’isteria e corporalità, ma che non si esime dal lasciare numerosi dubbi nel pubblico.
Lo svolgimento della trama pecca di troppi dialoghi, che appesantiscono il tutto e contribuiscono a diffondere un senso di claustrofobia che, complici la tematica della storia (la prigionia del tempo, della dipendenza, della solitudine) e la completa assenza di dettagli scenografici che suggeriscano una qualsiasi dimensione spaziale, alla lunga porta il pubblico a scivolare verso il fondo della poltroncina, o peggio, ad andarsene. A questo fanno eco situazioni dal tono dubbio, come il tedesco enfatizzato della dottoressa Katz che, sensato in una finzione popolata da personaggi inglesi, italiani, francesi o quant’altro, non ha ragion d’essere in una pièce teatrale in cui tutti sono tedeschi già per propria natura. Che poi, diciamolo, l’eloquio punteggiato di lingue diverse fa tanto macchietta, se vittima di abusi. Bello l’espediente del bacio saffico per esprimere il dominio emotivo esercitato dalla dottoressa (e dalla stessa morfina, personificata in lei) su Veronika, anche se fortemente a rischio di cliché.
E poi i gorilla. L’elemento più controverso dell’intera produzione, assieme al finale (che analizzeremo più avanti). Premettendo due cose, in primis l’intento dell’autore di rendere l’opera fassbinderiana una tragedia classica e poi il ruolo che il primate esercita nel suo teatro, ovvero l’immagine della libertà primigenia, della non consapevolezza della morte, possiamo comprendere la volontà di Latella di assurgere un gruppo di gorilla al ruolo di Coro greco, Coro che, per quel poco che sappiamo, aveva il compito di accompagnare il protagonista, quasi sospingerlo verso la propria tragica fine. Comprendere, questo sì. Ma il loro esprimersi in un ritmo e una tonalità che non possono non ricordare quelli di una combriccola di rapper annoia ed esaspera dopo pochi minuti. Non si tratta di un’interpretazione morta, bensì di un’interpretazione che mantiene il livello espressivo sempre oltre la linea demarcatoria dell’equilibrio. Il risultato è una lunga, instabile botta d’isteria che assuefà i sensi dello spettatore. La spiegazione del voler compiere un’opera che riprenda una partitura musicale “dove più ci si avvicina alla morte, più il tempo accelera” [Antonio Latella] convince, ma non si armonizza con quelle che sono le esigenze della storia.
Un colpo di pistola nel silenzio scuote i tendini. Un colpo di pistola tra le smitragliate di una trincea, neppure lo si avverte.
La scenografia non delude, optando per un design minimale, “morbido e accogliente, ma allo stesso tempo mostruoso” [Giuseppe Stellato, scenografo]: una distesa di pelliccia, un bianco asettico che abbaglia ogni cosa. Bianco, che nella cultura orientale veste il lutto. Bianco, l’albedo filosofale, la sublimazione, il nichilismo beato. Carina anche la cinepresa che sfonda la scena e mette in dubbio la natura dell’intera realtà narrata: vita o spettacolo anch’essa? Ma la struttura minimal che proietta i volti di Fassbinder e Veronika sotto forma di ombre cinesi avrebbero potuto risparmiarsela, come il gigantesco ciliegio che plana sulla scena di epilogo, calando la storia in uno scenario alla Čechov dove la nostra eroina, ormai morta (morta peraltro senza azione, ma con una mera descrizione verbale, autentico cancro della narratività in ogni sua forma) si confronta sulla tomba del grande regista con gli altri suoi personaggi femminili. Questo finale turba e confonde, così come il marasma di citazioni che si rimescolano in tutta la storia e il totale annullamento della distanza tra la nostra realtà, quella di Fassbinder e quella di Veronika. Assistiamo dunque a un play within the play (uno spettacolo nello spettacolo)? O più banalmente a una riflessione che è sfuggita di mano all’autore e che galoppa senza freni, senza più definire neppure se stessa?
Per concludere: Latella, forse con spirito profetico, aveva già in precedenza affermato che se la sua opera fosse piaciuta a tutti, allora ciò avrebbe denotato il suo fallimento. Ebbene, qui non si tratta di apprezzare, bensì di comprendere. Non abbiamo dimenticato il limpido, carnale capolavoro che è stato Caro George. Non abbiamo dubbi sul fatto che, se fosse stato meglio organizzato, più riflettuto e magari in un lasso di tempo più lungo, Ti regalo la mia morte, Veronika avrebbe potuto replicare quel successo. A Natale sono tutti più buoni. Noi più esigenti.

Gli spettacoli sono andati in scena:
Centro Arti Visive Palazzo Fabroni
via di Sant’Andrea – Pistoia
venerdì 18 dicembre, ore 19.00

Il Giro del Mondo in 80 Giorni | Puntata 4: da New York a Londra
dal romanzo omonimo di Jules Verne
concept e regia Teatro Sotterraneo
con Sara Bonaventura e Claudio Cirri
adattamento Daniele Villa
musica dal vivo Nadia Tirino al pianoforte
coproduzione Associazione Teatrale Pistoiese / Teatro Sotterraneo
allestimento e luci Associazione Teatrale Pistoiese
costumi Susanna Fabbrini
grafica Marco Smacchia

Teatro Manzoni
corso A. Gramsci, 121 – Pistoia
venerdì 18 dicembre, ore 21.00

Ti Regalo la mia Morte, Veronika
traduzione e adattamento Antonio Latella e Federico Bellini
tratto dal film Veronika Voss di Rainer Werner Fassbinder
regia Antonio Latella