Credere o pensare?

Il Grande Inquisitore, l’epocale monologo tratto da uno dei capolavori di Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, per la regia di Alessio Soro è andato in scena al Teatro Studio Keiros.

L’ingresso in sala è promettente e un dettaglio, ovviamente non voluto, concorre alla creazione di un ambiente suggestivo: curiosamente, i posti in platea rendono l’impressione di una disposizione a croce, andando così a rinforzare i chiari simbolismi in scena (due tavoli in-crociati; una mela rossa cui l’inquisitore darà piccoli morsi e scaglierà a terra, combattuto proprio da ciò che rappresenta, il peccato originale della libertà; un calice da messa; i polsi bucati di Cristo incappucciato).
Tuttavia, altri aspetti rompono l’incanto visivo di un allestimento potenzialmente potente. In particolare  l’utilizzo di luci poco modulate e troppo accese che hanno inficiato la costruzione di un’atmosfera tra mistico e onirico (ua scelta che ha finito per sminuire la resa di un make-up già debole nel sostenere la sofferenza nel viso del Gesù muto di Antonio Coppola). In secondo luogo, la sensazione di incongruenza della scenografia nel suo complesso con la presenza di elementi contemporanei (le sedie moving, un cellulare, i costumi) disomogenei rispetto a quanto declamato da un testo, dunque, inopportunamente fedele nel restituire la traduzione di Nadia Cicognini e Paola Cotta (con il riferimento temporale a «quindici secoli sono passati»).
Una recitazione velatamente accademica e che avrebbe positivamente goduto di maggiore personalità, pur essendo ben contenuta all’interno della brevità dello spettacolo (circa cinquanta minuti), e il convincente indugiare prossemico dei due attori completano la percezione di un allestimento che, nonostante una regia non sempre lucida nel coordinare le componenti attorali e scenografiche, riesce a far giungere intatto il senso esistenziale del capolavoro dostoevskiano: la dilaniante messa in crisi di ogni ipotesi di trascendenza come giustificazione delle sofferenze terrene.
Un messaggio che ancora oggi mantiene la sua urgenza, suggellato dalla magnifica Breathe (Reprise) dei Pink Floyd, inno alla pace integrale utilizzato come colonna sonora del celebre finale con il misterioso bacio che l’accusato dona al suo accusatore.

Complessivamente da perfezionare.

Casa, di nuovo casa
Mi piace stare qui quando posso
Quando torno a casa infreddolito e stanco
È bello scaldarsi le ossa accanto al fuoco
Lontano dall’altra parte del campo
Il rintocco della campana di ferro
Chiama i fedeli ad inginocchiarsi
A sentire gli incantesimi narrati sottovoce

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Studio Keiros

via Padova 38, Roma
venerdì 28 febbraio e sabato 1° marzo
ore 21.00

Il Grande Inquisitore
di Fëdor Dostoevskij
regia di Alessio Soro
con Alessandro Morbidelli e Antonio Coppola
make-up artist Stefania Epifano
ufficio Stampa Stefania D’Orazio