La ballata del Pinelli

teatro-contraddizione-milano-2Il Matto o della contraddizione celata dietro la morte “accidentale” dell’anarchico Pinelli, raccontata, tra poesia e ironia, dai Mercanti di Storie.

Al Teatro della Contraddizione succedono cose strane. Può succedere, a volte, che i confini sfumino, che le divisioni crollino, che le sovrastrutture si sgretolino. Succede, ad esempio, che uno spettacolo, ancora in fase embrionale, si riveli una prima a tutti gli effetti, mentre la distanza, fisica ed emotiva, tra il palcoscenico – tra l’altro inesistente – e il pubblico si assottiglia sempre più.

La compagnia dei Mercanti di Storie, qui rappresentata dall’attore e regista del monologo, Massimiliano Loizzi, esperta nel teatro canzone e nel teatro di parola, porta in scena Il matto, una personalissima rilettura della commedia del 1970 di Dario Fo, “Morte accidentale di un anarchico”. In realtà dell’opera originaria c’è poco, il che rende l’operazione di Loizzi ancora più complessa e interessante.

La scena è spoglia: soltanto una sedia, che però è una sedia importante. È quella su cui siede il giudice della riapertura del processo per chiarire le cause della morte, avvenuta nel 1969 nella questura di Milano, del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, detto Pino.

Ai lati ci sono i due avvocati, impersonati anch’essi da Loizzi, abilissimo nell’indossare i panni dei diversi personaggi, riuscendo a caratterizzarli tutti, tra serietà e ironia.

L’arringa, nella quale il pubblico si sente chiamato in causa, vuoi come parte giudicante, vuoi come imputato, è una farsa tragicomica, una caricatura che mette in luce le pecche grottesche della giustizia italiana.

Da una parte un giudice annoiato, che si rivolge agli avvocati “sarcazzo”, parlando della questura “sarcazzo”, per il caso “sarcazzo”. Dall’altra i due azzecca-garbugli, assolutamente caricaturali nel difendere l’uno la versione della morte accidentale – per “malore attivo”, come risulta dai verbali – di Pinelli, l’altro nel tentativo di sostenere l’ipotesi dell’omicidio da parte dei poliziotti e, più in generale, dello Stato.

Nel mezzo, si alternano i testimoni: un carabiniere presente al momento dell’interrogatorio di Pinelli, che incarna perfettamente il ritratto canzonatorio comunemente associato alla sua categoria, un Carlo Giovanardi che illumina la scena con le sue celebri perle di saggezza proibizioniste e conservatrici e un Massimo D’Alema che, in quanto a noia e indifferenza per il processo, eguaglia l’atteggiamento del giudice.

E poi eccolo, il supertestimone, che racconta la sua verità dall’interno. Pinelli, l’unico che può dire come sono andate le cose quella notte del 15 dicembre 1969. L’unico che può parlare, e può farlo non tanto perché è morto, ma perché non ha e non ha mai avuto il bavaglio dell’omertà, della cieca obbedienza a istituzioni che alienano, soffocano e nascondono secondo i propri comodi.

Racconta il suo volo, Pinelli, giù dalla finestra della questura di Milano. I suoi ultimi pensieri, una strage – quella di Piazza Fontana – che non poteva confessare per il semplice fatto di non averla commessa.

La racconta a noi, oggi, la sua versione, resuscitando per un attimo sul palco del TDC per mostrarci la sua verità, quella inascoltata in quegli interminabili giorni di interrogatorio, quella cui non fa comodo credere quando si ha di fronte un potenziale colpevole perfetto. Giuseppe Pinelli, Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi e tutti quei senza nome che ogni giorno vengono uccisi dallo Stato, se non fisicamente, attraverso un lento logoramento interiore.

Con questo monologo i Mercanti di Storie hanno ridato voce a coloro a cui è stata tolta la possibilità di parlare, invitandoci a riflettere sul silenzio omertoso che lo Stato, fingendo di combattere, è il primo a promuovere.

Il tutto è condito da una sottile ironia che perdura per tutto lo spettacolo, dando ulteriore risalto ai personaggi caricaturali della giustizia e riuscendo a rendere meno pesante l’insoluto caso dell’omicidio di Pinelli.

Se la (presunta) giustizia – incarnata da Gerardo D’Ambrosio che nel 1975 archivia il caso e assolve gli indiziati – vuole mettere un punto su questa storia, l’arte, dal teatro alla musica, diventa l’unica forma di memoria possibile, l’unica giustizia e l’unica testimonianza.

La voce che salva Pinelli dalla sua caduta è quella dei suoi compagni, di coloro che a 45 anni dalla sua scomparsa vogliono ancora parlare di lui e di quelli come lui.

Come recita la canzone La ballata del Pinelli, “ti hanno ucciso per farti tacere perché avevi capito l’inganno; ora dormi, non puoi più parlare, ma i compagni ti vendicheranno”.

E la memoria, tenuta viva da spettacoli come questo, è la migliore vendetta contro il silenzio.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro della Contraddizione
Via della Braida, 6 – Milano
Il 12 e 13 dicembre, ore 20.45

Il Matto
liberamente ispirato da “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo
scritto e interpretato da Massimiliano Loizzi