Dall’happy end della commedia alla barbarie della persecuzione

Al Globe Theatre di Roma, va in scena Il mercante di Venezia, una delle commedie più celebri di Shakespeare, ma anche una delle più in rapporto al ruolo che il suo personaggio più importante, l’ebreo Shylock, ha assunto – nel male più che nel bene – nell’immaginario europeo.

Le opere dei grandi geni attraversano i secoli caricandosi di volta in volta di una forza spirituale nuova, perché potenziata in relazione alla storia che nel frattempo è trascorsa tra gli uomini e nel mondo; le grandi opere infatti sono da un lato documenti, testimonianze dell’epoca nella quale sono state realizzate, dall’altra lenti efficaci per comprendere il presente nonché la storia intercorsa tra la loro stesura e noi. Shakespeare rientra pienamente in questa grandezza e non solo le tragedie, ma anche le commedie, dimostrano di possedere un carico di significato sorprendente.
Pensiamo a tal proposito a un’opera come Il mercante di Venezia, in scena fino al 7 agosto al Globe Theatre di Roma per la regia di Loredana Scaramella; prima grande difficoltà è pensare quest’opera come a un’autentica commedia, e definirla commedia è da subito insistere sulla dimensione antisemita che contraddistingue il testo: Scaramella non rinuncia a far ridere il pubblico, dedicando a ciò una buona parte della messa in scena (complici degli attori perfetti nel ruolo, basti pensare ad Antonio Tintis nei panni di Graziano, Federico Tolardo in quelli di Lancillotto, e Sara Putignano in quelli di una Porzia cinguettante e sarcastica), e lo spettacolo viene valorizzato dall’esecuzione delle splendide musiche dal vivo.

Ma l’antisemitismo di Shakespeare si registra nel profilo del personaggio più importante dell’opera, ovvero quello Shylock che tanto successo ha avuto nell’immaginario occidentale da diventare lo stereotipo tipico dell’ebreo usuraio, avido e spietato, tanto da venire utilizzato dal Nazismo durante la persecuzione per legittimare la sua bestiale furia. Sì, perché non possiamo non considerare che Il mercante di Venezia fu scritta a fine Cinquecento e tra noi e quest’opera c’è stata la Shoah, ed è impossibile non ricomprendere la fortuna e la forza di un personaggio come Shylock alla luce di quanto è accaduto nel Novecento; l’interpretazione memorabile di Carlo Ragone è profonda, intrisa di drammaticità, istituzionale, autoritaria potremmo dire: Shylock non è più, come il testo sembrerebbe volere, solo un goffo anziano burbero che merita la derisione della città di Venezia, un miscredente che si lamenta dei comportamenti a lui rivolti ma che in ogni istante sembra darne adito. Lo Shylock della Scaramella è un personaggio denso e drammatico, e se il processo dove viene gabbato dai suoi avversari è ritenuto l’essenza dell’happy end nella versione classica dell’opera, qui il tono trionfalistico si smorza. D’altronde, bisogna tener conto del fatto che l’antisemitismo ha radici antichissime e che ha attraversato tutta la storia occidentale, e non è un’eresia sostenere che Shakespeare appartenga a questo flusso; anche perché il paese più antisemita della storia probabilmente è proprio l’Inghilterra, che mise al bando gli ebrei nel Duecento proseguendo fino all’epoca elisabettiano-shakespeariana. Per tornare al discorso della grandezza dei classici e della potenza del loro genio, non possiamo non aggiungere però un elemento affascinante: forse è proprio Shakespeare a segnare la fine dell’esclusione forzata della confessione giudaica, e non è un caso che a pochi anni dalla sua morte sarà Cromwell ad abolirla invitando gli ebrei e tornare nel Regno Unito.  Probabilmente ha contribuito l’incipit dell’opera, dove è lo stesso poeta a sostenere che d’altronde il mondo è un palcoscenico e ognuno recita la propria parte (e l’ebreo usuraio non fa che recitare la sua parte nel mondo), ma ancora più decisivo è stato il famoso monologo di Shylock «Non ha occhi un ebreo?», reso da brividi da Ragone su una scena spoglia e solo sul palco; un monologo diventato celebre per essere stato un manifesto contro l’antisemitismo, anche se nella scena successiva Shylock sostiene di voler vedere morta la figlia perché gli ha sottratto il suo tesoro. Quel monologo fa cortocircuito, come se entrasse in tensione con tutto il resto dell’opera, aprendo una fessura, una voragine del senso; la messa in scena del Globe coglie questa stortura, cerca di riscattare il profilo di Shylock dandogli un’autorità e un’impostazione signorile. Scelta intrigante, ma anche pericolosa: un conto è ridurre l’ebreo nel classico stereotipo (ognuno recita una parte), riducendolo a qualcosa di astratto, un conto dargli una concretezza tale da farne un personaggio drammatico, che può comparire agli occhi del pubblico come un perseguitato, o peggio ancora una canaglia che merita la punizione che gli è stata inflitta.

Questo vortice di significati contraddittori non s’acquieta e questa è anche la potenza del testo, ma un fattore specifico della regia di Scaramella rende tutto ancora più intricato e pericoloso: si tratta dei costumi fin de siècle, costumi ottimi e affascinanti ma che proiettano le vicende in un’Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento, in piena modernità borghese. Si tratta di una scelta registica che merita attenzione, perché molte sono le implicazioni legate a essa: la borghesia commerciale e mercantile di fine Ottocento si trova perfettamente a suo agio nell’universo della Serenissima, luogo dove Shakespeare ha ambientato la commedia (perché, aggiungiamo, di ebrei non poteva averne visti in Inghilterra per le ragioni di cui sopra, perciò Shylock era già dominato da un antisemitismo radicato nell’immaginario occidentale diffuso e non determinato dall’esperienza empirica). Così come lo straordinario ragionamento che scaturisce dal dibattito del processo, sul significato cristiano della clemenza e del suo rapporto con la rigidità della legge, il conflitto tra caritas e la lucidità spietata del diritto, dove tale conflitto non è risolto alla maniera dei classici greci in tono tragico quanto evidenziando come la spietatezza della legge “ingiusta” possa essere corretta all’interno dei suoi stessi vincoli (un’idea di una modernità spaventosa, che implicherebbe un’argomentazione filosofica che non è il caso di portare avanti in questa sede). Insomma, i personaggi che sembrano usciti dalla grande tradizione del romanzo europeo moderno contribuiscono ad avvicinare tutto il dibattito sul significato della giustizia verso la nostra epoca, ma se l’antisemitismo nella Recherche di Proust era un fatto che annunciava la disgrazia dell’Olocausto, perché già evidenti erano le storture e le implicazioni razzistiche (e questo Proust lo intuì, anche in relazione all’affare Dreyfus), qui il rischio è sempre quello di trovare delle giustificazioni storiche ed emotive della persecuzione del popolo ebraico; quei costumi rappresentano un’epoca nella quale lo spirito dell’uomo era arrivato a un diverso livello di maturazione, che dialetticamente avrebbe portato alla catastrofe e allo stesso tempo al dubbio sulla legittimità dell’antisemitismo; calare le vicende del Mercante di Venezia alla vigilia di tale catastrofe rappresenta una scelta audace che la Scaramella gestisce bene per quanto resti molto più ambigua e “strisciante” rispetto alla scelta di ambientare l’opera nel contesto nella quale è stata originariamente scritta, ovvero cinquecento anni fa. I personaggi borghesi che festeggiano per la punizione inflitta all’avido ebreo, dove è la stessa figlia a gioire perché il padre è caduto in miseria per mezzo dei cavilli giuridici, riflettono l’orrore di quel razionalismo che raggiungendo il suo apice, negli anni trenta del secolo scorso, si capovolse in barbarie: possiamo godere di questo finale felice?

Lo spettacolo continua:
Silvano Toti Globe Theatre
Parco di Villa Borghese, P.zza di Siena – Roma
fino al 7 agosto
ore 21.15, lunedì riposo

Il mercante di Venezia
di William Shakespeare
regia Loredana Scaramella
scene e costumi Susanna Proietti
costumi Maria Filippi
musiche a cura di Stefano Fresi
con Fausto Cabra, Mimosa Campironi, Diego Facciotti, Paolo Giangrasso, Roberto Mantovani, Fabio Mascagni, Ivan Olivieri, Loredana Piedimonte, Sara Putignano, Carlo Ragone, Mauro Santopietro, Antonio Sapio, Antonio Tintis, Federico Tolardo.