Alle origini del sentimento moderno

AL Teatro San Paolo di Roma, è in scena fino al 28 maggio uno dei grandi classici della drammaturgia di ogni tempo, ovvero il Mercante di Venezia, opera che testimonia della inesauribile attualità della letteratura shakespeariana.

Nell’ormai lontano 1967, il Teatro Stabile di Torino portò in scena una versione del Mercante di Venezia di William Shakespeare destinata a restare nella storia del teatro italiano. Il classico shakespeariano, infatti, sul confine liminare tra commedia e dramma, venne realizzato in occasione del 19° Festival Shakespeariano di Verona, per la regia di Franco Enriquez. Tra gli interpreti, spiccava il nome di Glauco Mauri, che nella parte dell’ebreo Shylock segnò una tappa decisiva della sua carriera. Nel corso degli anni Mauri, oltre a una prestigiosa carriera da attore e regista ancora in corso, ha stretto un sodalizio artistico con Roberto Sturno col quale ha fondato la Compagnia Mauri-Sturno, fautrice di importanti produzioni a livello nazionale e, per onorare l’anniversario di quella fortunata edizione del classico del Bardo, la Compagnia Mauri-Sturno, all’interno del progetto Giovani – Un futuro nel Teatro, ha deciso di riportarlo in scena dal 18 al 28 maggio presso il Teatro San Paolo di Roma, per la regia di Ilaria Testoni, per mettere in evidenza la forza intramontabile del testo, ma anche le implicazioni morali e ideologiche che esso continua ad avere a distanza di mezzo millennio.

Se cinquant’anni fa il maestro Mauri dette vita a una delle interpretazioni dell’ebreo Shylock più potenti della storia, per lo spettacolo in corso l’onere e la gravità del compito vengono recepiti da un ottimo Mauro Mandolini, attore e regista ben navigato nell’ambito della commedia contemporanea, che però in questa occasione riesce a tenere insieme le molteplici sfaccettature di un personaggio così complesso e profondo: usuraio avido e mostruoso, ma anche padre ferito nell’orgoglio e abbandonato da chiunque. La dimensione malinconica del personaggio, che redime la sua sete di vendetta, viene sottolineata dall’adattamento che ha introdotto un prologo e un epilogo non previsti dal testo originale, quasi un tentativo estremo e disperato di riscattare un personaggio che nel corso dell’opera non solo viene identificato col male ma viene ridotto a zimbello e messo alla berlina da tutti gli altri personaggi (per il giubilo del pubblico seicentesco inglese, profondamente antisemita).

Altra venatura interpretativa che la versione di Testoni assume è legata alla scelta di far interpretare il “buon Antonio”, amico di sangue di Bassanio, a una donna: d’altronde il rapporto di affetto nel testo shakespeariano in più punti sembra sconfinare nell’amore omosessuale, e sarebbe stato interessante spingere ancora oltre tale chiave di lettura che introduce un ulteriore comprensione del rapporto tra Bassanio, Porzia e Antonio (come per esempio, alle origini della modernità, si andasse consolidando il principio di autofrustrazione omosessuale per proporsi in società in maniera legittima e “sana”). Bella la scenografia e l’elaborato disegno luci, che mettono in evidenza la dinamicità della scena; la qualità superiore dello spettacolo è però la capacità di dare risalto a elementi spesso trascurati a proposito del Mercante di Venezia: di certo il dibattito sull’antisemitismo, ma anche come detto l’immaginario omofobico e ancora di più le questioni relative ai sofismi giurisdizionali, al rapporto tra diritto e giustizia, perché qui il genio di Shakespeare, che non conosce equivalenti, riuscì a tematizzare uno dei fulcri essenziali della cultura moderna. Dopo un secolo dalla sua stesura, l’Inghilterra partorirà infatti il Bill of rights e farà esordire un’illuminata concezione dell’amministrazione pubblica e del rapporto tra autorità e diritto, emancipata dal riferimento teologico. Porzia, nei panni del giudice padovano Baldassare, non trova altra soluzione per salvare il povero Antonio che attaccarsi a un cavillo sofistico del diritto, perché l’epoca della clemenza (che supera ogni legge) è ormai tramontata; si tratta di una svolta decisiva nell’immaginario, al quale contribuisce anche la considerazione che, in fin dei conti, Porzia non è un giudice e perciò la sua sentenza non avrebbe alcun valore. Questa la grandezza dei classici shakespeariani, di contenere in sé degli abissi di senso che continuano a vorticare a distanza di secoli, e il merito della Compagnia Mauri-Sturno è stata quella di averli riproposti al pubblico.

Lo spettacolo è in scena:
Teatro San Paolo
via Ostiense, 190 – Roma
fino a domenica 28 maggio
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 17.30

Associazione culturale Le perle di novembre e la Compagnia Mauri-Sturno presentano
Il mercante di Venezia
di William Shakespeare
regia Ilaria Testoni
con Mauro Mandolini, Barbara Begala, Camillo Marcello Ciorciaro, Ilaria Amaldi, Valerio Camelin, Roberto Di Marco, Michela Giamboni, Marina Parrulli.