La parola madre ad Ad Arte Teatro Cine Festival di Calcata.

È un gradito ritorno quello che dà esordio alla seconda giornata di Ad Arte. La programmazione inizia con Shakespeare come non l’avete mai visto della Compagnia degli Scuotilancia, «spettacolo itinerante a tema shakespeariano […] in forma demenziale-parodica», un interessante esperimento di messa in scena di «versioni naïf e strampalate di drammi e commedie» capace di conquistare l’esigente (a Calcata si inizia fin da piccoli a masticare arte) pubblico di giovani e giovanissimi locali.

A seguire, al Granarone si è svolta la conferenza sul Teatro Resiliente con Flavio Cipriani, direttore del Centro studi dell’Unione Italiana Libero Teatro, già presente alla scorsa edizione del Festival proprio a testimonianza dell’affinità tra le mission delle due realtà (UILT e Ad Arte) di riuscire a dare un contributo attivo alla crescita culturale ed artistica di questo «benedetto, assurdo belpaese» (Cyrano, Francesco Guccini). Moderata da Igor Mattei, la conferenza ha visto presenti anche Antonio Perelli (presidente nazionale UILT) e Lauro Antonucci (presidente regionale UILT) e ha ragionato su una questione fondamentale, ossia su come la curvatura sempre più burocratica e commerciale assunta dalla legislazione italiana sull’arte (dal diritto d’autore alla fiscalità) stia inficiando in maniera strutturale lo sviluppo della scena contemporanea, in particolare, se indipendente rispetto alle referenze e invadenze della politica. Troveremo, poi, lo stesso Cipriani alla regia di Macramè, spettacolo dedicato al tema dell’inclusione mancata (dunque della reclusione materiale e spirituale) e del suo drammatico intreccio contemporaneo con l’immigrazione. Bella la scenografia di Luisiana Pondi nell’accostare con efficace semplicità le tonalità del nero e del bianco, da apprezzare per concentrazione e dedizione le interpretazioni di Miriam Nori e Amedeo Carlo Capitanelli, meno convincente la complessiva restituzione didascalica dell’impianto musicale e del testo, per uno spettacolo che, tuttavia, in questa riduzione da quattro a due attori lascia comunque intravedere interessanti sviluppi drammaturgici.

Il primo evento per adulti è andato in scena in Piazza delle Scale, l’ennesimo meraviglioso palcoscenico che Calcata ha offerto alla fiumana di pubblico che sta sostenendo la resilienza di questa edizione. A essere rappresentati sono due estratti da un successo della scorsa stagione romana, Giri che ti rigira del duo Spadoni&Paniccia, per la regia di Donatella Brocco; due sketch comici del genere Zelig Lab On The Road, che, muovendosi tra equivoci verbali e paradossi storici, pur senza brillare in termini di originalità o studio, hanno saputo incontrare una platea divertita e ben disposta a un intrattenimento leggero e senza particolari pretese.

Il nostro attraversamento di Ad Arte ha fatto poi sosta al Granarone per assistere a Più libero di prima, documentario di Adriano Sforzi sull’incredibile storia di Elisabetta Boncompagni, Francesco Montis e Tomaso Bruno, quest’ultimo «un ventenne italiano come tanti, inquieto, benestante e viaggiatore, partito per l’India all’inizio del 2010 in cerca di se stesso: vi troverà la morte di un amico, un’accusa d’omicidio priva di fondamento e la condanna al carcere a vita».

Proprio Tomaso, di cui Sforzi è amico «fin da bambino, quando giocava nel campetto da calcio dell’oratorio», rappresenta il focus scelto per sviluppare «il romanzo di formazione di un giovane occidentale, in cerca di se stesso, capace di avere un’evoluzione positiva nonostante la reclusione in una cella da quattro anni» e intrecciare a esso «la storia universale dell’amore di due genitori, Euro e Marina, che ci daranno la possibilità di chiederci quanta fede abbiamo e fino a che punto crediamo davvero nelle persone che amiamo».

In India, tornato in hotel da un festino notturno con i suoi due amici, Francesco si sente male. Trovato in fin di vita da Tomaso ed Elisabetta, a nulla varrà il ricovero all’ospedale di Varanasi, dove Francesco morirà il 4 febbraio 2010. Il 6 dello stesso mese, Tomaso ed Elisabetta vengono arrestati: da questo momento Più libero di prima tralascia la vicenda di Elisabetta (comunque strettamente legata a quella di Tomaso) e sviluppa i «lunghi anni di prigione in attesa del giudizio definitivo: anni in cui Tomaso resiste, ricorda, immagina, legge e scrive migliaia di lettere. Anni che, a dispetto di tutto, trasformano un giovane confuso e sperso in un uomo cosciente e determinato» e a cui, parallelamente, corrisponde «la trasformazione della sua famiglia che, a distanza di chilometri, rivoluziona la propria vita nel nome dell’innocenza di un figlio».

Sapientemente, Sforzi non eccede nei virtuosismi estetici, alterna in parallelo gli sguardi, i pensieri e gli scorci dai luoghi originari di Tomaso (Albenga) da quelli della sua detenzione, limitando l’intervento sul montaggio al raggiungimento di un ritmo sostenuto, mentre gli splendidi disegni di Olga Tranchini, la fotografia di Marco Ferri e le musiche di Daniele Furlati concorrono all’edificazione di una atmosfera di autentica tragedia contemporanea. Il risultato è un’opera che certamente convince, e molto, sia nel restituire le emozioni vissute dai suoi protagonisti e provocare empatia, sia nel donare equilibrio a una pellicola altrimenti a forte rischio di caduta nel patetico.

Convince meno, invece, la scelta di declinare Più libero di prima totalmente sul piano del coinvolgimento emotivo e di eludere ogni analisi rispetto alla cronaca e alla situazione processuale della vicenda, dunque ogni considerazione oggettiva, fredda e straniante, che avrebbe potuto – probabilmente – favorire la comprensione e una più forte presa di coscienza rispetto a quella stessa dimensione più generale che lo stesso Sforzi denuncia citando su Piuliberodiprima.it da Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero di Fabio Polese e Federico Cenci («il dato più allarmante è che, secondo i dati forniti dal ministero degli Affari esteri, sono 2.393 gli italiani detenuti in attesa di giudizio»).

Tuttavia, a Sforzi e all’intera squadra che incessantemente ha lavorato alla realizzazione di questo splendido documentario non potrà non essere riconosciuto un ulteriore e fondamentale merito civico, quello di aver dato dignità – attraverso la visibilità – a una storia colpevolmente quasi ignorata dai mass media, tutti, tanto nel pubblico quanto nel privato, in quegli stessi anni (2012) tristemente impegnati a sostenere la propaganda a favore del famosissimo caso dei marò accusati di aver ucciso due pescatori indiani.

L’altissimo tasso di impegno civico è poi proseguito con I cento pazzi, il monologo di Giovanni Guardiano nato dalla visione su Youtube «di un breve filmato sul Maxi Processo alla mafia, il più importante processo ad una organizzazione criminale nella storia italiana» in cui «i più temuti Padrini di Cosa Nostra davanti alla Corte, capi di imputazione pesantissimi, schiere di pentiti con accuse infamanti» appaiono all’autore, regista e attore ragusano «in una dimensione grottesca […] si arrampicavano sugli specchi come pupi di teatro, gesticolavano, accampavano scuse in aria, citavano un destino e una ventura ingrata».

Le istrioniche doti di Guardiano trasformano una vicenda di lacrime e sangue in un materiale teatrale straordinario con protagonisti magistrati afferenti al pool antimafia (da Rocco Chinnici ad Antonino Caponnetto, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino e Giuseppe di Lello), pentiti (da Tommaso Buscetta a Totuccio Contorno) e sedicenti uomini d’onore (da Luciano Liggio a Michele Greco, da Leoluca Bagarella, Salvatore Montalto e Pippo Calò).

L’intento non sarà, tuttavia, esclusivamente catartico come nel caso di Più libero di prima; perché l’interpretazione e la trasfigurazione in chiave comica, con momenti anche amaramente esilaranti, «degli atteggiamenti e delle attitudini teatrali» riscontrate da Guardiano «sia nel linguaggio, sia nel modo di essere» di piccoli uomini di Cosa Nostra – che, di fronte alla requisitorie dei pubblici ministeri, sembrano recitare un pirandelliano gioco delle parti – va oltre la dimensione privata da cui pure esso nasce («forse il teatro con la sua forza deformante poteva aiutarmi a vedere i fatti con più distacco; quel distacco che mi è sempre mancato quando guardo alla Sicilia è asfissiata dalle spire della mafia»).

La traduzione drammaturgica in termini di imitazione e caricatura, infatti, non intende stabilire un rapporto di accondiscendenza con la platea (ridere per far apprezzare acriticamente lo spettacolo), tantomeno il genere della commedia viene posto al giogo del divertissment. I cento pazzi, applicando lo straniamento brechtiano ai personaggi interpretati (i mafiosi di Cosa Nostra), il distacco da loro stessi e la rappresentazione per contrarietà di un mondo che viene riconosciuto come finzione, diviene stimolo critico per il pubblico, funzione attiva di una denuncia partigiana nei confronti della quale la risata risulterà in grado di potenziarne la presa di coscienza dell’assurda e inumana situazione originaria.

Chiudono la nostra giornata, un breve e ironico estratto da Mi ami? con Pino Strabioli e Orsetta De Rossi dal visionario testo dello psichiatra Ronald Laing (particolarmente apprezzabile per l’accompagnamento musicale live di Matteo Colasanti e Laura Desideri) e lo straordinario Shakespeare e musica di Duccio Camerini che, sempre con il supporto di Matteo Colasanti e Laura Desideri, ha presentato la riduzione de I Sonetti di Shakespeare, testo di cui è autore, regista e interprete. Camerini rilegge uno dei testi più affascinanti del bardo, raccontando la vicenda di Carlo, un uomo con apparentemente «problemi nella comunicazione», ma che, in realtà, si scoprirà parlare proprio attraverso i versi dei Sonetti. Di questo uomo misterioso, ricoverato a causa della sua stranezza in una struttura psichiatrica, due amici cercheranno di scoprire l’identità, trovando però la propria. La poesia di Shakespeare, innervando con grande naturalezza la narrazione, dona la giusta veste aulica ad alcune tra le più profonde delle passioni umane, quali l’amicizia, la ricerca di sé, l’amore.

Impressiona il modo in cui Camerini manifesta – attraverso la sua completa padronanza – il potere della parola, uno dei più controversi atti teatrali. Spesso spiegata al nulla da dire o al nulla da far vedere, mera sovrastruttura a disposizione di chi pensa di poter mascherare nella verbalità la propria povertà creativa, Camerini ne gestisce e dosa ogni minima variazione cromatica, sia del tono che del ritmo, così spalancando ai presenti le condizioni di un’esperienza estetica totale.

Chapeau.

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno di Ad Arte Teatro Cine Festival
location varia, Calcata
2 settembre, dalle 11:30

Shakespeare come non l’avete mai visto
della Compagnia degli Scuotilancia

Teatro Resiliente
conferenza con Flavio Cipriani

Giri che ti rigira
regia di Donatella Brocco
con Spadoni&Paniccia

Macramè
liberamente tratto da quattro Il baule di Ilaria Ciavattini, Senza ravvedimenti di Anna Laura Bobbi, Formiche di Roberto Vallerignani, Anime dannate di Massimiliano Natali
regia di Flavio Cipriani
scenografia di Luisiana Pondi
con Miriam Nori e Amedeo Carlo Capitanelli

Più libero di prima
regia Adriano Sforzi
sceneggiatura Federica Iacobelli
animazioni Olga Tranchini
fotografia di Marco Ferri
musiche di Daniele Furlati

I cento pazzi
di e con Giovanni Guardiano

Mi ami?
da Ronald Laing
con Pino Strabioli e Orsetta De Rossi
accompagnamento di Matteo Colasanti e Laura Desideri

Shakespeare e musica
di e con Duccio Camerini
accompagnamento di Matteo Colasanti e Laura Desideri