Sentieri ignoti

trastevere-teatro-romaIl qui e l’oltre porta sulla scena il dramma dei rifugiati, facendo dialogare teatro e cronaca. Siamo al Teatro Trastevere in una fredda serata di incipiente inverno.

Il sipario si apre su una camera di vita, sembra quella di una bambina, ci sono una scrivania, un mappamondo, una bambolina e un telo dai colori africani appoggiato allo schienale di una sedia. Anna Carsi è il tenente di una nave della Marina Militare italiana che pattuglia il mare a sud della Sicilia. Riceve una lettera da parte di una madre africana che non ha più notizie sui suoi due figli, partiti su uno dei barconi verso una terra promessa.

Reminiscenze della vita dei ragazzi sembrano luccicare nella mente della giovane donna: «Ci piaceva rincorrere le gazzelle». Il monologo tratto dal testo Distanze di Gaia Spera Lipari, alterna confessioni, sgomenti, momenti di musica in cui si balla l’amore per la vita contro la morte. «La televisione toglie spazio alla commozione» dice Anna. Dovremmo collegarci al “canale della verità”, cercarne il tasto sul telecomando, ma da un “acquario” – come è appellata la TV – non può sorgere una realtà avvicinabile, ma solo un fantasma che parla di morte senza essere morte, con il sospetto piuttosto di partecipare una forma moderna di esorcismo. Le notizie che vengono da quella scatola parlano di decessi e ripeterlo, contarne coloro che ne sono stati toccati, ha qualcosa di consolatorio, di ipnagogico, che avvicina al sonno di chi si risveglierà in una vita che continua.

L’autrice cerca di scuotere, rende spettralmente neutro il linguaggio quando descrive un annegamento: asfissia acuta; occupazione dello spazio alveolare polmonare da parte di acqua; morte per ipossia acuta e insufficienza acuta del ventricolo destro del cuore. I corpi annegati si gonfiano, è pericoloso aggrapparvisi perché vanno giù, e chi cerca appiglio va giù con loro. Il diritto romano riservava ai parricidi la morte per annegamento e analogo supplizio (la mazzeratura)era comminato in epoca basso medievale ai traditori. Ma qui la pena è inflitta perché la colpa è non avere un padre, non perché fatto oggetto di morte, ma perché non c’è, non c’è un genitore che sappia coniugare la norma sociale all’amore, accompagni la crescita, la sostenga, piuttosto che limitarsi a prendere parte a un ciclo riproduttivo.

Può venire un padre da questa parte del mondo? Forse è questa la domanda che sorge dal testo. Gli autori cercano di mettere insieme documento e drammaturgia, sulla scia degli esperimenti RAI nella fine degli anni sessanta, in quel format chiamato Teatro inchiesta (vi parteciparono tra gli altri Alberto Negrin, Ottavio Jemma, Gianni Serra), che pur essendo TV cercava di coniugare fiction e documento, script teatrale e commento giornalistico, ibridando l’uno e l’altro in una sintesi raffinata e assai innovativa, mai più ripresa in seguito dai canali di stato. La pièce cerca di divincolarsi dalla ridda di voci sociali, ma inevitabilmente non può che pagarne pegno, perché il cifrario degli accadimenti risuona troppo di eco giornalistico. È un rischio molto grosso fare teatro su temi di cui il martellamento sociale satura ogni possibile senso tragico, riducendolo a immagine che, per quanto tratta da una realtà drammatica, non può che risultare paradossalmente decorativa se viene da un “acquario”: che si tratti di TV o di vasca per i pesci, entrambi rientrano nella categoria degli oggetti d’arredamento. Era Luca Ronconi a riconoscere che trattare un tema attuale a teatro è più un limite che una risorsa, essendo la drammaturgia uno spazio più di analisi che di cronaca. «La distanza tra la parola e la realtà è percorribile solo dall’esperienza» dice Anna, e questa pièce cerca di accorciarne la misura con grande slancio civile, senza tuttavia poterla fare più breve, perché nell’immediato dei fatti la cronaca non può che sempre prevalere sul teatro e il teatro rischiare di aggiungersi alle voci sociali senza rappresentare l’equivoco di un altrove. «Vorrei passare l’ignoto sentiero» esclama Anna declamando dei versi. I molti convenuti a teatro in questa fredda serata non possono che sottoscrivere. È il desiderio di poter conoscere il mistero di eventi tragici senza esserne morsi, perché al destino di giovani vite possa sostituirsi una speranza: qui, e oltre.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Trastevere
Via Jacopo dè Settesoli 3, Roma
giovedì 26 Novembre alle ore 21.00

Rassegna teatrale EXIT – Emergenze per identità teatrali presenta
Il qui e l’oltre

di Gaia Spera Lipari
drammaturgia e regia Emilio Genazzini
con Francesca Tranfo
produzione Abraxa Teatro