Nell’attesa contemplo il cielo

teatro-lux-pisaAl Teatro Lux di Pisa, Chiara Stoppa e il cancro. Quando anima e corpo procedono per vie parallele.

In qualche maniera, riprende il sentimento di chi guarda il cielo stellato. Ora, non che si tratti delle medesime cose, ma un non so che le accomuna e, al contempo, le oppone: il senso della fine. Implacabilmente presente qua, annullato nell’oltre. Ma una fine deve pur esserci, persino nella sconfinatezza dell’universo, no? E c’è, certo che c’è: siamo noi a finire. E d’un tratto, ecco che il mondo e tutti i suoi accidenti, in minima parte cessano di esistere. Finitezza e ignoto. Osservare un tumore e guardare il cielo stellato.
Questo, in breve, Il Ritratto della Salute, spettacolo portato sul mutevole palcoscenico del Teatro Lux di Pisa. Chiara Stoppa, autrice dell’opera assieme a Mattia Fabris e unica interprete, scruta a lungo il firmamento ignoto.
Causa di una felice collaborazione tra il Lux e la Fondazione Arco per la ricerca oncologica, Il Ritratto della Salute è il monologo ininterrotto della malattia che Stoppa sceglie di raccontare al pubblico con insolita, commovente registro ironico. Tutto è raccontato: da quell’intollerabile stanchezza estiva che ha dato principio a tutto, passando per i medici, caterve di medici, poi i parenti e gli amici, le voci che si susseguono e che sempre lei anima con la vitalità nuova di chi, della vita, non ha più la certezza.
La scena, così come la regia di Fabris, è spoglia, priva di scenografia – unico oggetto, un tavolo. Un tavolo e poi un corpo. Il veicolo umano che si fa soggetto e al contempo oggetto. «Nel procedere della malattia», dice Chiara, «avevo prestato il mio corpo ai dottori affinché lo riparassero e poi me lo restituissero funzionante. Fino ad allora, la vita era in pausa». Il corpo e poi il tavolo, evocazione suprema della passività, dal piano del chirurgo alla mensa cristiana, poi banco di macelleria, o quello da gioco – dove si scommette il proprio denaro, il tempo e il futuro. Il tavolo che a tratti è rovesciato con ribellione, a tratti ridisposto e caricato di sé affinché i medici vi lavorino sopra.
Tutto è crudele ne Il Ritratto della Salute. Il cancro, certo, che cresce sul polmone e lentamente uccide, ma la cura non lo è meno. Malgrado si favorisca la ricerca oncologica, tanto l’ambiente quanto i dottori sono percepiti sotto un’aura ostile. Tra il carnefice e il generale avventato, là trova posto il medico col suo arsenale di trapani, di aghi aspiranti e fluidi chimici da immettere in endovena. Lui e il tumore, che mai è nominato perché quasi intrinseco è il binomio con la morte. Perciò, riformuliamo pure: lui e la neoplasia, e il carcinoma, il neoplasma da abbattere a ogni costo, «cercando di non compromettere gli organi nei limiti del possibile» [dallo spettacolo]. «Ma tra loro e il tumore c’ero io».
Quanto alla scelta del linguaggio comico, “armi per sconfiggere retorica e patetismo” – citando il comunicato stampa – non si riesce a sottacerne il risvolto ambiguo, una forma di crudeltà che colpisce obliquamente allo stomaco lo spettatore, evocando quel particolare periodo di transizione in cui gravità e disempatia sconfinano l’una nell’altra: un’attenzione spietata si scaraventa sulla carne, mentre la persona è messa da parte. Un corpo da salvare attraverso la tortura e l’anima che l’abita si fa bazzecola. Tanta ironia per descrivere l’ago che si conficca nel midollo spinale, la flebo chimica, il trapianto che è l’ultima, disperata spiaggia.
Un crescendo di preghiere, un monologo che si apre per spaziare, che si chiude in se stesso quando il male sopraggiunge, seguito dal restringersi e dall’allargarsi del cono di luce. La narrazione piana, che va per immagini e voci alterate (a ciò si ricorre quando gli elementi visivi vengono a mancare), cattura l’attenzione sin dal primo minuto. Particolarmente belle le evocazioni della campana di vetro che avvolge il tumorato e lo sottrae allo scorrere della vita; quella, altrettanto ricorrente, del palazzo che crolla, ogni volta che i piani medici falliscono nell’intento. Bello anche il binomio tra la guerra a suon di chemioterapia e i mondiali di calcio 2006, svoltisi per coincidenza nel medesimo periodo. E ci evocano le serate con la flebo attaccata, la stanza buia, il televisore acceso, un tifo che non sa da che parte dirigersi.
Tutto procede spedito, interrotto soltanto verso la fine dal malore di uno spettatore risoltosi fortunatamente bene («Manca poco», scherza l’autrice. «Se vuole fermarsi ancora, vede come finisce. Vabbè che si può intuire che non sono morta, altrimenti non sarei qui»). A fine spettacolo, una breve presentazione del libro, edito dalla Mondadori.
Sabato 4 aprile, quasi le 23.00. Freddo intenso in piazza Santa Caterina, mentre camminiamo. Non siamo mai stati tanto attaccati alla vita. E sì, è presa da Ungaretti, ma ci sta, ci sta davvero.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Lux – Pisa

sabato 4 aprile, ore 21.00

Il ritratto Della Salute
di Chiara Stoppa e Mattia Fabris
con Chiara Stoppa