Dialoghi del cuscino

È andato in scena al Sala Umberto di Roma un pezzo classico della compagnia Familie Flöz, Teatro Delusio.

Non entreremo nello specifico di uno spettacolo che replica con grande successo internazionale da oltre un decennio e che Persinsala ha già recensito con alcune delle sue firme più autorevoli, ma approfitteremo della data romana per soffermarci su un asset di Teatro Delusio, vale a dire interrogare l’essenza della comicità nel teatro contemporaneo.

L’argomento, che è banale riconoscere centrale da un punto di vista teatrale (e sul quale rimane una pietra miliare il saggio pirandelliano L’umorismo), è in realtà ben più serio e di ampia prospettiva di quanto possa apparire.

Interrogarsi sul valore del comico, sul senso che la risata riveste nell’esistenza umana, è infatti un autentico dilemma con il quale le menti più autorevoli si sono confrontate fin dai tempi più antichi.

Dalla disputatio tra Platone e Aristotele (che però la escludeva dal novero dell’arte, degradandola a qualcosa di basso e sudicio), passando per il Trattato sulla natura umana di Hobbes, per arrivare, in tempi più recenti, a Baudelaire, Freud, Bergson e Nietzsche, l’olimpo delle autorità che hanno esercitato il proprio ingegno per discernerne la quintessenza e restituirla all’interno di una più generale concezione filosofica e antropologica è davvero ampio e di assoluto prestigio.

«Giocando con le innumerevoli sfaccettature del mondo teatrale: tra il palcoscenico e il backstage, tra illusione e disillusione, emerge una stanza magica piena di umanità toccante», dunque muovendosi tra essere (quello che esiste oltre il velo del palcoscenico) e apparire (ciò che va in scena, ma che non vedremo mai, se non in absentia), Teatro Delusio di Familie Flöz si avventura nella rappresentazione di forme e atti che, di sequenza in sequenza, sfidano la concezione mimetica dell’arte performativa per svelarne il lato oscuro e più veritiero attraverso il grimaldello della risata.

Un teatro che propone gesti funambolici, maschere e pantomime e provoca una risata che intende essere assoluta, ossia materializzata mediante una quotidianità trasfigurata in maniera tanto ilare quanto crudele nel grottesco del dietro le quinte.

Teatro Delusio anela così la commistione di gioia e oscurità, offre un percorso costellato da deliri fantastici, affamato di brividi magici per condurre, attraverso la comicità, lo spettatore ai confini del meraviglioso e della riflessione critica.

Sciolto dalla parola e concentrato nel e sul corpo, i Familie Flöz recuperano allora l’eredità di grandi artisti quali Keaton, Tati e Charlot, quindi non di un ramo che vuole il comico figlio cadetto del Bello, ma di una categoria assoluta dell’arte.

Tuttavia, se il riso è espressione e percezione soggettiva (se non proprio diagnosi), esattamente, cosa dovrebbe far ridere in Teatro Delusio? Il ridondante pastiche di gag di genere mutuato dal teatro di figura? La percezione di una paradossalità perturbante di fronte alla deformazione scenica di un elemento maudit dell’arte e dell’artista, quello celato rispetto alla messa in scena?

Teatro Delusio sfoggia certamente una resa stilistica impeccabile, luci e tempi perfettamente calibrati. In alcuni momenti è anche coinvolgente, ma sembra semplicemente l’esercizio di enormi strumenti espressivi da parte di una compagnia che cede in maniera disinvolta al manierismo autoreferenziale e all’anacronismo dei contenuti (il disagio e l’inquietudine di chi – naïf e/o romantico – vive direttamente o indirettamente l’arte e di arte). E che frana di fronte all’autocompiacimento di chi prova a compensare l’assenza di idee in grado di sintonizzarsi coi tempi con l’esaltazione della tecnica.

Nessuno scandalo, nessun senso di raggelamento delle viscere: nulla di tutto ciò accompagna il quadro delle contraddizioni tra la visione del nascosto (cui in realtà si sta assistendo) e di quanto rimane occultato (quel davanti le quinte normalmente mostrato al pubblico).

Nessun sentimento di vertigine lirica irrompe di fronte ai gesti comuni e al susseguirsi di fragorosi sketch compiuti dai molteplici protagonisti nel prepararsi al disastroso destino che li attende, trionfo e distruzione e perdita di ogni cosa.

Tutto avviene tra grosse e grasse, spesso incontenibili, risate, ma le loro gesta, le loro manie e moine suggeriscono un’ostentazione che contravviene uno dei tratti distintivi del comico, di ciò che autenticamente provoca qualcosa di più della sterile e momentanea ilarità: ignorare se stesso per mostrarsi, invece, sempre caricaturale, esteticamente curioso, poeticamente allucinato.

Di fronte alle debolezze e all'(in)felicità dei personaggi, Teatro Delusio poggia interamente sul senso comune e stereotipato, di conseguenza denuda di ogni ambizione di verità l’esperienza che lo spettatore sta vivendo.

Rimane, allora, forte e assordante l’interrogativo posto dal nostro Gianluca Valle di fronte all’ennesima versione edulcorata di un altro caposaldo della comicità contemporanea (Mistero Buffo di Ugo Dighero): «l’umorismo e la comicità, una volta esaurita la loro funzione liberatoria, non finiscono per garantire una più sistematica repressione, aiutando a sopportare meglio proprio quell’esistente che tanto criticano e dissacrano?»

Lo spettacolo continua
Teatro Sala Umberto

via della Mercede, 50 – 00187 Roma
dal 5 Novembre al 17 Novembre 2019

Teatro Delusio
regia di MICHAEL VOGEL
di Paco González, Björn Leese, Hajo Schüler e Michael Vogel
con Andres Angulo, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk
musica Dirk Schröder
Maschere Hajo Schüler
costumi Eliseu R. Weide
disegno luci Reinhard Hubert
direttore di produzione Gianni Bettucci
assistente di produzione Dana Schmidt
produzione di Familie Flöz, Arena Berlin e Theaterhaus Stuttgart