Ovviare all’ovvietà

Nell’ambito del Progetto Dostoevskij va in scena, al Teatro Era di Pontedera, un classico firmato da Gabriele Lavia, Il sogno di un uomo ridicolo. Impossibile recensire.

Questa non sarà una recensione. Quando se ne scrive una, lo si dovrebbe fare per tre ragioni – almeno a mio modesto parere. Far conoscere un artista, una Compagnia o un testo, che altrimenti attirerebbe con difficoltà l’attenzione del pubblico perché poco noto. Cercare di spiegare stilemi, linguaggi, mezzi espressivi innovativi che potrebbero non essere facilmente fruibili e permettere così una migliore comprensione dell’opera da parte degli spettatori – anche meno esperti. E, infine (la ragione più problematica da affrontare per un critico), risalire al perché uno spettacolo non funziona, dando pareri e suggerimenti – che potrebbero essere utili alla Compagnia per correggere un po’ il tiro.

Ma di fronte a Il sogno di un uomo ridicolo, di e con Gabriele Lavia, queste tre motivazioni decadono. Cosa rimane da scrivere, quindi?
Si potrebbe perdere un po’ di tempo ammorbando il lettore con l’esegesi del racconto o riassumendo la carriera di Lavia. Ma sarebbe un esercizio di retorica abbastanza fine a se stesso o, grazie alla conoscenza di entrambi i personaggi, uno sfoggio autoreferenziale da scolaro che voglia dimostrare di aver studiato.
Al contrario, bastano poche righe (dato che non si è più retribuiti a parola, anzi: non si è più retribuiti) per raccontare un’ora e mezza dedicata all’ascolto di un racconto, scritto oltre un secolo fa ma che potrebbe essere il monologo firmato da un nostro contemporaneo, grazie all’immanenza del suo messaggio. Interpretato da un attore che possiede tutti i registri e le intonazioni, ma riesce a spogliarsi della sua bravura e di quella perizia un po’ stucchevole del mattatore, in favore di una recitazione delicatamente equilibrata, giocata sull’understatement, che si priva di tutto tranne che dell’unico elemento essenziale per il teatro occidentale. Ossia l’attore stesso, in carne e ossa, che impersona e racconta, celando il suo io per rivelare l’umanità che ci accomuna. E diretto (sempre da Lavia) con una pulizia che non permette nemmeno un gesto inutile o una concessione all’estro; che costringe l’attore a sedere su una sedia, senza orpelli o scenografie ridondanti, su un palco nudo – come deve essere, a volte (ma non sempre), l’interprete, quando voglia arrivare davvero al pubblico per il suo messaggio e non per se stesso.
Non si può recensire un frammento di bellezza, occorre viverlo.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del progetto Dostoevskij:
Teatro Era

Fondazione Teatro della Toscana – Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale
Parco Jerzy Grotowski – via Indipendenza
Pontedera

sabato 5 e domenica 6 dicembre
Il sogno di un uomo ridicolo
regia e interpretazione Gabriele Lavia