I dialoghi del cuscino

L’ironico e lucido sguardo su tutti gli aspetti più contraddittori della natura umana fanno di Euripides Laskaridis uno degli artisti più interessanti del panorama internazionale.

Nell’Odissea non si narra del solo viaggio di Ulisse nel suo travagliato e iniziatico ritorno in patria, vi è anche il racconto delle peregrinazioni di Menelao. Di rientro dalla guerra di Troia insieme a Elena, simulacro dei simulacri, vera o presunta, doppio e immagine di se stessa, il condottiero greco deve farsi dire la verità da Proteo. Questa la chiave per tornare a Sparta. Ma Proteo è dio non semplice da interrogare. deve essere costretto. Il dio deve essere bloccato, inchiodato al suolo e senza lasciarsi affascinare dalla miriadi di forme che assume, attendere quella definitiva e solo allora egli canterà il vaticinio. La verità sarà in forma oscura, nei versi oracolari e misteriosi, ma il verdetto sarà sincero. Metamorfosi e permutazione da cui emerge oscura la veridicità. Questa è la via per il ritorno di Menelao.
L’incontro con il teatro (o forse è danza? Importa?) di Euripides Laskaridis è un confronto con Proteo. Sulla scena miriadi di immagini sfarfallano mutando e riversandosi una nell’altra e da questo caleidoscopio vivente si ha la netta percezione di cogliere un frammento del reale. Aletheia la chiamavano i greci: la verità che velandosi si disvela.
L’azione scenica di Euripides Laskaridis è il dispiegarsi della potenza delle immagini che come diceva Elias Canetti «…sono reti, quello che vi appare è la pesca che rimane». Le immagini sono il punto fermo di una realtà in perenne movimento, in esse possiamo specchiarci, sostare, riflettere sul mondo, percepirne l’oscura verità.
Lo spettatore che si trova di fronte a un’opera di Laskaridis affronta la prova di Menelao. In perenne bilico tra l’abisso della fascinazione e la durezza della verità, si confronta con il divino, splendido e tremendo. Ma questa rivelazione divinamente laica sorge dal confronto con le piccole realtà quotidiane, le piccolezze di una vita ordinaria da cui insorgono piccoli cortocircuiti rivelatori di profonde e immutabili certezze.
Queste illuminanti rivelazioni non sorgono da una lingua intellegibile, ma dal borbottio, dal balbettio, da suoni confusi e buffi, dall’azione di un corpo abnorme e mostruoso, deforme e assurdo. Il quotidiano si trasforma a contatto dell’improbabile, dell’anormale.
La figura che anima le immagini non è umana, perché al di là dell’umano benché ne simuli le apparenze. Arti rigonfi, pance abnormi, culoni informi, teste ridicolmente sproporzionate e mostruose, maschio e femmina, contraddittorio come Dioniso. La cifra del corpo e dell’immagine è il grottesco, quell’esagerato manifestarsi che provoca il riso e un velo di inquietudine, l’assurdo che può essere vero, che è vero nonostante tutto.
Come l’antico attore della tragedia, che sugli alti coturni, dietro la maschera, perdeva l’umano essendo umano, Euripides Laskaridis è reale e immaginario, uomo e dio, e trasforma ciò che crea in scena in chiave per vedere il mondo al di là del velo che lo opacizza. E tale operazione avviene nell’oscurità, le immagini non sono chiare, hanno significati doppi se non plurimi, si sbriciolano in miriadi di frammenti di uno specchio che tocca allo spettatore rimontare. Per ognuno è diverso ma non privo di verità.
La sorprendente potenza di Euripides Laskaridis sta nella riscoperta della potenza antica del teatro che non è comunicazione, né autoespressione, non riversa sul pubblico i dubbi o problemi della psiche, non proferisce né riferisce, non dice ma rivela nel canto del corpo e del movimento qualcosa che giace al di là del velo. Non è rappresentazione è rivelazione, e non di dogmi o verità stabili come la roccia, ma di inesprimibili nodi che tengono insieme questo vasto mondo che respira. Dolcezza e violenza, terrore e riso, amore e rabbia, vita e morte. Nel caos e nella contraddizione della mutazione le immagini parlano senza nulla dire veramente. In questo guazzabuglio chi ha occhi per vedere scorge l’immagine di cui ha bisogno, quella che riesce a inquadrare la propria realtà, ad ancorarla e che gli permette di tornare a Sparta diverso e più forte. Come diceva Canetti :«forte si sente colui che trova le immagini di cui la sua esperienza ha bisogno». Questa è la cifra del teatro di Euripides Laskaridis, la potenza che lo fa anomalo in un panorama che vede il prepotente ritorno della rappresentazione e soprattutto dell’ingombrante io dell’autore che vuole a tutti costi dire una verità senza mai parlare della verità. Laskaridis senza nulla voler dire dice tutto. Ogni risultato è possibile perché non se ne attende nessuno e come diceva John Cage «questa è tutta la poesia che mi serve».

link utili:
http://euripides.info/

RELIC di Euripides Laskaridis (GR)

TITANS di Euripides Laskaridis

INTERVISTA A EURIPIDES LASKARIDIS