Padri, Pasolini, Politica

Un viaggio verso la Valsamoggia per scoprire un modo di fare teatro sul liminale tra passato e possibilità.

Quante parole iniziano per P? Il titolo dell’ultimo spettacolo del Teatro delle Ariette, Pane e petrolio, in co-produzione e co-ideazione con Luigi Dadina e le Albe ravennati, ha sollecitato in me questa riflessione, in sé spuria ma curiosa, almeno quanto decidere di costruire un capanno per gli attrezzi e adibirlo a teatro, di coniugare i tempi del cucinare con i ritmi della messinscena, di riuscire a sradicare quaranta persone dalla poltrona del salotto di una casa colonica persa tra le colline della Valsamoggia per invitarle a compartecipare al rito laico del teatro. Ed è per questo che, più che raccontarvi uno spettacolo, per una volta, cari lettori, viene voglia di narrarvi di un viaggio.

Arrivare dalle Ariette è già di per sé un’avventura. Se si viene dalla Toscana è naturale prendere la Porrettana, sinuosa strada che si inerpica tra pareti rocciose e paesini disseminati lungo il nastro d’asfalto, spesso composti da poche case, screpolate e infreddolite, strette alla montagna – che ti fissano attraverso le persiane rigorosamente serrate come corvi in attesa. Negli ultimi mesi, però, la Porrettana è stata chiusa parzialmente al traffico per una frana e, a un certo punto del percorso, si deve salire su per la montagna, dove la strada si restringe a una sola carreggiata e le cime degli alberi accarezzano le basse nubi ottobrine. A tratti la nebbia ovatta la vista, mentre le cortecce brunite trascolorano nel rosso fogliame autunnale e un silenzio brumoso invade gli spazi, fino a saturare l’aria che fendono i fari.

Prima di arrivare alle Ariette si può fermarsi in un bar, nel paesino che dista solo un paio di chilometri e che offre ben pochi luoghi di ritrovo. Castelletto sembra quasi disabitato: la pioggia sottile separa e rinchiude e, la sera di Halloween, pare di trovarsi in un film di Cronenberg o in un racconto di Philip K. Dick: la sensazione perturbante di uno scartamento di senso ci ha condotti su quel treno che non arriverà mai in stazione. Poi si entra nel bar, ci si guarda attorno: una donna di mezza età che potrebbe uscire da un film di Altman, bionda e con un pantacollant attillato, siede bevendo il suo secondo bicchiere tra due tipi indefinibili – uno dai tratti esotici e, l’altro, in calzoncini a 9 gradi che si vanta, con accento bolognese, di girare per casa, in maglietta, a 5. A quel punto entrano tre ragazzini mascherati da maiali, che ripetono la litania ben nota: «Dolcetto o scherzetto?» e l’uomo in calzoncini, in preda all’euforia per quella mascherata, offre bastoncini di liquirizia a tutti.

Quando i bambini escono, si avvicina al bancone per controllare il prezzo: ogni stringa costa 10 centesimi. Sorride sollevato e mette due euro sul bancone, poi siede nuovamente accanto alla bionda e riprende il filo di un discorso incomprensibile ma che ai suoi amici sembra perfettamente coerente. Nei venti minuti successivi il bar è inondato di streghe, Frankenstein, un bambino grondante di sangue con un’accetta piantata in testa, qualche vampiro e una marea di zucche-cestino per contenere i dolciumi. La barista mi guarda ed esclama: «Gli ho già dato 4 chili di caramelle finora!» e io mi sento ancora più sconcertata mentre mi chiedo da dove vengano tutti quei bambini, quando le colline percorse e lo stesso paesino, fino a qualche minuto prima, mi parevano destinati all’abbandono.

L’ultimo tratto verso le Ariette è una stradina di campagna a una sola carreggiata, tra boschi e rumore di acque: la pioggia scola leggera ma incessante, sottile come pagliuzze di fieno dorato. Si parcheggia e si accende una torcia: le ultime centinaia di metri dovremo percorrerle a piedi, ma il buio della strada è mitigato da contenitori con lumi di candela posati a lato dell’asfalto, lungo il percorso. Una coppia ci precede sulla salita che arrampica fino alla costruzione bassa e lunga che, immaginiamo, domini un piccolo poggio in mezzo ai campi. Intorno a noi è il buio della campagna che preme da ogni lato e l’unico senso al quale possiamo aggrapparci è proprio la nostra fantasia.

E quanta fantasia devono aver posseduto Paola Berselli e Stefano Pasquini per immaginarsi di costruire un teatro qui, tra fattorie e campi coltivati, a una trentina di chilometri da Bologna ma a decenni di vita di distanza. Qui si respira un tempo altro, che non è quello dei nostri nonni, quanto dell’aspirazione a recuperare il senso e il ritmo della natura. E qui, intorno a una tavola a ferro di cavallo, ci sediamo per celebrare un rito antico quanto il dissertare filosofando, di platonica memoria, ma seguendo i tempi dello spettacolo – ché il teatro, da sempre, ha bisogno di un ritmo e di un respiro propri.

Al centro della stanza dalle pareti imbiancate e con le travi a vista, un fascio di rose, una Madonna con bambino e una falce e martello. Pasolini. La sua passione, intellettuale e fisica, la sua fede sofferta innestata sull’amore per la madre, il suo credo politico – in un comunismo ben aldilà del miope vetero-puritano PC. Anche lui siede a tavola con noi. E a questa stessa tavola, seppure stanchi dal viaggio, siamo subito pronti per la nuova avventura, quella che il teatro offre sempre a chi lo sappia guardare con lo stupore del bambino: la scoperta di un frammento di verità che, come si esplica con delicatezza e amore nel preparare il cibo che comparteciperemo, così si dispiega nei ricordi d’infanzia e gioventù di Paola Berselli, Luigi Dadina, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini. Una bicicletta gialla, la mano di tua madre che afferra la sigaretta, la schiena per sempre voltata di un padre, una canzone di De André.

C’è un motivo per cui vale la pena (altra parola con la P) ritrovarsi una sera dalle Ariette, in compagnia della bella voce profonda di Dadina, ed è quello di sentirsi più umani. Almeno per una sera, si può.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro delle Ariette
via Rio Marzatore, 2781
Loc. Castello di Serravalle – Valsamoggia (BO)
giovedì 31 ottobre 2019, ore 20.30

Pane e petrolio
Dedicato a Pier Paolo Pasolini

di Paola Berselli, Luigi Dadina e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Luigi Dadina, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
regia Stefano Pasquini
collaborazione Laura Gambi
organizzazione Irene Bartolini e Veronica Gennari
tecnica Dennis Masotti
ufficio stampa Raffaella Ilari e Alessandro Fogli
coproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Teatro delle Ariette 2019

Foto di Stefano Vaja