A Cagliari a fine ottobre si sta in spiaggia. Mezzi nudi a prendersi il bagno e il sole. E gli umori di una terra che ti fa sentire lontano da tutto, minimizza trambusti e bagarre metropolitani.

Una terra d’altrove, d’atmosfere da poema di Eliot (Thomas Stearn), dalla forte e tipica identità, originaria, indica. Lineamenti morfologici e fisionomie umane si corrispondono, in rapporto speculare, di reciproca contaminazione, reciproco nutrimento. Un determinismo naturale e antico, specifico. Potente quindi il senso di comunità. Un riverberare tradizioni e ritualità per spirito di autenticità più che di conservazione. Non v’è preoccupazione di svilimento per innesti e mutamenti estranei: ciò che è altro, “straniero”, viene assorbito culturalmente, coinvolto come in una danza tribale.
E il teatro visita comunità. Ricrea. Per mutamenti d’azione e di stati. Ripropone, riproduce, all’uomo, ciò che lo rimette in contatto con le zone più profonde di sé. E con fenomeni a cui si è distratti per quotidianità o imposizioni socio-culturali.

Love Sharing,
Festival di Teatro e cultura nonviolenta, organizzato da Theandric, per la direzione artistica di Maria Virginia Siriu e quella organizzativa di Elisa Lai e Silvia Siddu, ne è testimonianza. Testimonianza diretta, riportando il sottotitolo di Migrazioni, tema d’indagine di questa quinta edizione appena conclusa. Dal 19 al 27 ottobre, visioni, spettacoli, mostre, incontri, laboratori. Nottate e vociferare lento e mai apparente. Fuori dalle pose e dalle posizioni. Zona franca. Quando altrove, ormai, si fa a gara a chi detiene più territorio e influenza (presuntuosamente) gusti e masse.

Indagine di vita e di genti è lo spettacolo Intime Friemde/Intimi Stranieri, delle Welcome Project – The Foreigner’s Theatre, alla ricerca di una possibile intimità tra stranieri. L’interrogarsi sulla realtà di questa possibilità, nutre e determina il processo creativo. Il divenire scenico non nasconde, anche a sguardi non allenati all’esercizio della visione, “crepe” dovute alla sua meravigliosa imperfezione (conseguente alla naturale evoluzione del percorso di ricerca formalizzato). Impurità efficaci all’instaurarsi d’una relazione comprensiva, dissonanti però nell’esito sommario di uno spettacolo avvertito con senso d’incompiutezza. Per irrisolte dichiarazioni di intenti, per un nervoso entrare e uscire dalla scena – interagire direttamente col pubblico e lasciarlo alla visione pur verticale e coinvolgente -, per distonia tra gli elementi (immagine e attorialità su tutto) e la conseguente affaticata dinamicità. Dette le “eruzioni cutanee”, frutto probabilmente d’un eccesso di volontà d’urgenza e di ingenuità formale, non si può non lodare la bontà del lavoro per disegno, assemblaggio, tracce, semiotica e non banalità contenutistica. Sebbene il trattare tematiche visitate potrebbe risultare retorico, la capacità registica di costruzione, la dimestichezza nel padroneggiare linguaggi fisici e drammaturgici, gli ingranaggi d’allestimento, evitano lo scivolare in pratiche scontate e determinano potenza di approdo. Frontalità e spersonalizzazione propongono le azioni, verbali e iconografiche: non ci sono personaggi, le attrici formalizzano scene/significanti. La parola è diretta quando il pubblico è chiamato ad interagire confidenzialmente, frammentata e drammatizzata quando fa da supporto testuale alla figura. Didascalie involontarie, notevoli. Una grammatica composita: gesto, esposizione, proiettato, oggettivazione, straniamento. Anche il nudo, predicato ormai non più extra-ordinario, rivisitato nell’ottica di un verbalizzare sensibile. A mostrare totem e tabù attuali e collettivi. In forme interessanti da assumere, qualcosa che rimane, che non lascia le scene sul palco.
Si entra in platea come sbarcati, ricevuti da esseri in mascherine e tute antibatteriche, autoritari, asessuati. Come si fosse folla informe, cumuli di carne, non esseri umani. E le attrici, tre, in scena, di nazionalità diversa, ognuna nel proprio idioma, prendono parola, si liberano dei costumi per riabitarsi e denudarsi. Svelando in scena i meccanismi, preparando al cambio di registro e suggerendo relazioni intra ed extra visione. Poca scenografia sulle assi del palco. Oggetti d’uso quotidiano e relazionale (un tavolo da pranzo, un frigorifero) o di conflitto (armi), elementi naturali per circostanza di scena (mele rosse). Tavolo e sedie che diventano trincea, l’interno del frigo per stipare corpi e suggerire concetti immediatamente intellegibili: l’idea che si fa viva per corpo, figura, parola, oggetto. Nel tentativo di bombardare lo spettatore di concetti, stereotipi, riflessioni e domande, di pungerne le intimità e provocarne la partecipazione reattiva. Esaurendo però l’intento nella troppa attenzione alla resa. Non riuscendo a ricreare quell’abbandonarsi dal ruolo di spettatore verso l’identificarsi negli elementi dello spettacolo. Si avverte un rimanere nell’idea.

Di altra fattura lo spettacolo Viaggio Italiano, ideato e realizzato da Emergency, un attore, solo, in scena, una sedia, un leggio, uno smartphone da cui lanciare della musica, poca. La potenza di risonanza del fatto e dello spazio teatrale per una parola chiara, subitanea, magari non in tiro, ma di necessaria urgenza. Un teatro che informa, dice di una realtà senza la distorsione mediatica e di partito che trasfigura accadimenti per fare dell’odio sociale, xenofobo, un grosso raccolto elettorale. Un resoconto teatralizzato dell’assistenza sanitaria dei medici e dei volontari di Emergency verso poveri, migranti, indigenti a cui è negato il diritto di cure. Teatralità scarna, per immaginifico più che figura, verticalizzata dall’efficacissima interpretazione di Mario Spallino, attore di lungo corso e dalla tecnica raffinata. Vocalità e trasporto, confidenzialità e vicinanza, l’attenzione alla partecipazione altrimenti dalla prova, riuscendo a minimizzare la naturale predisposizione all’aspettativa. Un prendere parola per ascolto, a ridimensionare lo spazio teatrale in assemblea, ripristinare forme di interventi democratici, comunitari. Una parola che non prende posizioni di controinformazione o di propaganda, un racconto, recitato, di storie vere e tristemente mortificate. Eco.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Love Sharing/Festival di Teatro e Cultura nonviolenta:
Manifattura Tabacchi

viale Regina Margherita, 33 – Cagliari
sabato 26 e domenica 27 ottobre

Intime Fremde/Intimi Stranieri
regia Chiara Elisa Rossini
con Aurora Kellermann, Lina Zaraket e Serfiraz Vural
luci Alessio Papa
di Welcome Project – The foreigner’s Theatre
produzione Teatro del Lemming
in collaborazione con Tatwerk Performative Forschung Berlino

Viaggio Italiano
testo e regia Patrizia Pasqui
con Mario Spallino
produzione Emergency ONG Onlus

Foto di Marina Carluccio