Verderame, Federico II Eventi e il Manifesto del Teatro delle Bambole, hanno portato in scena al Teatro Abarico di Roma Il terzo uomo, la pièce scritta e diretta da Andrea Cramarossa.

Il teatro Abarico dimostra come sia possibile fare teatro in una stanza, in un luogo quanto mai appartato e avulso da ogni contesto riconoscibile, e riuscire a “farsi mondo”, presenza contemporanea, rappresentando proprio ciò che sembra più irrappresentabile e sfuggente: il nostro tempo e la sua essenza precaria e di strutturale inconsistenza, in un ritmo giornaliero folle e grottesco che non lascia spazio all’interiorizzazione e alla riflessione sul suo anarchico scorrere senza senso né meta. Sono protagonisti di questo viaggio al confine evanescente tra delirio onirico e disprezzo profondo per il contesto complessivo delle loro esistenze, due fratelli, Dolly (Mariangela Dragone) e Herbert (Claudio Ciraci), i quali, convinti della totale inutilità della loro vita e dall’assenza di qualsiasi prospettiva futura, sconvolti dal selvaggio e anonimo nichilismo che circonda e, paradossalmente, dà significato alla loro pigra e indolente esistenza, decidono di uccidere i loro genitori e il fratellino più piccolo, nella megalomane speranza di essere notati, uscir fuori dalla massa indistinta dei perdenti e dei nullafacenti che popola le nostre metropoli.

La morte violenta e il ridicolo gioco al massacro di ogni significante (che rimanda al teatro irrappresentabile, all’antiteatro di Carmelo Bene), la lenta e costante decostruzione di qualsiasi significato comprensibile e auspicabile, diviene per loro l’unica ancòra di salvezza, come chiave di volta di una nuova fase – più autentica e vitale – rispetto all’attesa di un cambiamento che non è mai arrivato.

Una morte non morte, come grimaldello per scardinare e “riqualificare” una vita non vita, abbattere per poi ricostruire sulle rovine di un quotidiano espropriarsi da se stessi – nella lotta impari contro i propri fantasmi, le inevitabili angosce, la percezione asfissiante di un vuoto “inutile” che non riusciamo mai a decifrare e a sconfiggere, diventando così l’essenza stessa, la misura oggettiva e senz’appello del nostro vivere. L’intera narrazione può essere vista come un’autentica scomposizione di piani emotivi ed esistenziali, con una prima parte sessual-erotica in cui il delirante gioco corporale, nell’ingenuità ridicola di “uscir fuori” da una abominevole normalità, non porta ad altro che ad accettare l’aberrante logica dell’omicidio-salvezza; e una seconda, ombrosa ricerca di una memoria – anch’essa inutile, se non dannosa – che aiuti i protagonisti a ricomporre il mosaico impazzito di una gestualità, di una psicologia, ormai senza controllo, tutta imperniata sulla illogica meccanica stimolo-reazione.

Una scissione che abita ogni animo umano alla ricerca di un fine ultimo, di un male supremo che dia senso all’infantile ricerca della pace, che riconduca all’equilibrio perduto per sempre, a un’istanza completa, a una metafisica impossibile. Ed è forse proprio questo il “terzo uomo”, quell’entità terza che, assieme ai due fratelli vittime della loro stessa sete di conformità, abbiamo smarrito e ci affanniamo a ritrovare senza successo. In questa stanza-mondo, in questa camera adolescenziale che ricorda un mattatoio, in questa spiazzante disomogeneità temporale della narrazione, nella sottile abilità dei due protagonisti nel far parlare la loro gestualità fisica, nell’avvolgere i loro corpi nel ludico ricorrersi di una morte necessaria e attesa da sempre (come ricerca di un senso primordiale e assoluto), vi è tutta la drammatica resistenza per non soccombere alle tenebre, al dolore che ci opprime e non ci lascia respirare, alla paura che uccide ogni nostro istinto vitale.

Il Terzo uomo, come altri spettacoli di queste ultime stagioni (ad esempio Suicideveejayshow al Teatro Trastevere e Non rubare al Teatro dell’Orologio), carichi di quella tendenza oggi dominante nei circuiti indipendenti e sperimentali dell’apparente denuncia del quotidiano vuoto nichilista (del quale i giovani sono le prime e principali vittime), rappresentano viceversa una sorta di nichilismo critico, autoanalisi del nichilismo attraverso se stesso, nella disperata ridefinizione di un orizzonte esistenziale, di una nuova e progressiva “ansia metafisica”.

All’interno di questa decisiva operazione di decifrazione dell’intricata matassa del presente, l’unico limite della messa in scena è quello di “frenare” la narrazione nel momento in cui doveva essere lasciata “a briglia sciolta” e, di riflesso, lasciarla scorrere troppo nel momento in cui si doveva incanalarne l’energia patologica, darle una forma compiuta che, presumibilmente, non può contenere. Un limite, tutto sommato, su cui si può sorvolare.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Abarico
via dei Sabelli 116 – Roma
fiìno a domenica 27 febbraio

Il terzo uomo
di Andrea Cramarossa
regia Andrea Cramarossa
con Mariangela Dragone e Claudio Ciraci
costumi Silvia Cramarossa
aiuto regia Alfonso Delbert
foto di scena Iole Verano
produzione Verderame/Federico II Eventi/Manifesto del Teatro delle Bambole