Ricordando la Primissima
E si ricomincia. Tra pubblico in fermento, autorità, ansia da prestazione, attese e pretese, ecco riaprirsi la stagione operistica del Teatro Carlo Felice che da quest’anno ha un nuovo capitano al timone: il sovrintendente Claudio Orazi. Ma la bottiglia di champagne sarà andata in frantumi con il varo inaugurale? Ebbene, noi di Persinsala eravamo lì e possiamo raccontarvi quanti e quali fortunosi cocci sono stati di buon auspicio.
Stagione 1992. Il teatro Carlo Felice, il nuovo teatro lirico cittadino, viene riaperto dopo il restauro post-bellico ed inaugurato proprio con Il trovatore di Giuseppe Verdi per la direzione di Carlo Rizzi e la regia di Sandro Bolchi.
Fu un fiasco conclamato: giornali, critici, tutti dello stesso avviso, un’opera indecente, cantanti non all’altezza, delusione totale. Con queste premesse, portare a Genova in scena la seconda opera della trilogia popolare verdiana è sempre una faticosa sfida che però non viene vinta con un incredibile punteggio.
Si alza il sipario e le attese scenografiche sono tutte soddisfacenti. Il trovatore è, per eccellenza, l’opera del fuoco e del buio, l’opera medievaleggiante (non è un caso che la regista Marina Bianchi abbia definito l’ambientazione degna di Game of Thrones) tra spade e cavalieri, il tutto condito dalla stregoneria incarnata nel miglior personaggio femminile verdiano, Azucena, l’«abbietta zingara, fosca vegliarda».
Lo sfondo, a seconda delle scene, cupo e di fuoco e su cui si staglia una grossa luna, simbolo di nottate magiche ma anche nome del conte antagonista, sovrasta sulle torri medievali che, grazie ai palchi genovesi, ottimamente si adattano alla messinscena, alternando luoghi regali, accampamenti e un convento.
Trama complessa, quella dell’opera verdiana, fatta di fraintendimenti e confusione, senza lieto fine nonché esemplare raccordo di molti degli elementi del bussetano e il merito della (quasi) riuscita va al cast e alle sue interpretazioni. Quattro i protagonisti nel totale rispetto delle quote rosa, due i coprotagonisti Basso e Tenore, uno e sempre grandioso il coro, unico e inimitabile, garanzia quando si parla di dirigere Verdi e di rendere comunque una messinscena incredibile, il Maestro Andrea Battistoni.
Battistoni si sa, è un esperto: amante verdiano, grandioso suo interprete e soprattutto direttore d’orchestra e voci che più di altre hanno bisogno di direzione.
E venendo infatti ai cantanti, se nel 1992 fu un disastro – con le parole «[…] c’ è un Kristian Johannson che urla soltanto, ed è un peccato perché ha una voce magnifica, e come attore è una cosa inerte» si parlò di Manrico -, oggi non ci troviamo certamente dinanzi a questo sfacelo e saremo più gentili ed educati, ma sono comunque molte le critiche sulla voce maschile protagonista.
Va forse giustificato per l’emozione della Prima, però Marco Berti (Manrico, Tenore) non convince noi e parte della sala che si esprime con dei poco eleganti (ma ragionevoli) buu negli applausi finali. A partire dai primi interventi della romanza Deserto sulla terra, il protagonista raggiunge le note più alte ma sembra voler strafare e, se il meglio è nemico del bene, il risultato è una distorsione di un suono non sempre armonioso. E sebbene la sua interpretazione di attore riesca ad esprimere il dolore figliale, non riesce a farlo con il canto nel pezzo forte Di quella pira, aria non facile della quale, in questa occasione, non viene significativamente chiesto il bis, anzi. Ed è proprio qui che Battistoni deve adattare l’organico orchestrale al tenore per poter garantire un’accettabile interpretazione di uno dei pezzi più noti dell’opera.
Non saremo critici, invece, nei confronti del Soprano Vittoria Yeo, Leonora che convince per interpretazione e voce, sebbene inizialmente appaia timida nella cavatina Tacea la notte per poi risultare assolutamente efficace ed applaudita per cabaletta del I quadro Di tal amor, che dirsi Meritati gli applausi anche per il Baritono Massimo Cavalletti, Conte di Luna che va in crescendo dando il meglio in Di geloso amor sprezzato nel terzetto che chiude l’atto I.
Ma si parlava ancora di un grande protagonista, quel coro che molto difficilmente delude grazie alla direzione del Maestro Francesco Aliberti. Se fin dall’atto I fa la sua comparsa, il momento corale per eccellenza di quest’opera è il noto coro degli zingari Vedi! le fosche notturne spoglie che fa meritare un applauso sensazionale. Perfetta interpretazione anche per l’uso delle incudini sul palcoscenico.
Ferrando (Mariano Buccino, Basso) e Ruiz (Didier Pieri, Tenore), nonostante la minor presenza sul palco, sono ottimi compagni per i loro signori e anche apprezzatissimi cantanti per il pubblico. Ferrando è ottimo nella sua parte di consigliere e memoria storica (è lui che riconosce la zingara nell’accampamento) nonché eccellente narratore della vicenda. Meritati applausi quelli per il racconto Di due figli vivea padre beato dell’atto I. Ruiz è consigliere e guida delle truppe gitane e si fa davvero apprezzare dal pubblico. Infine, ultima ma prima assoluta, grande soddisfazione della serata per orecchie e occhi, è l’interpretazione di Azucena, il Mezzosoprano Violetta Urmana, che vale davvero tutta la partecipazione all’ascolto.
A partire dalla prima grande aria del personaggio, Stride la vampa!, la Urmana, che sovrasta con eleganza e armonia l’orchestra toccando picchi vocali incredibili, è senza dubbio la protagonista e, per riprendere quello che avrebbe detto lo stesso Verdi «[…] né si dica, è una parte secondaria: no davvero: è prima, primissima, più bella, più drammatica, più originale dell’altra. Se io fossi primadonna (il bell’affare!) farei sempre nel Trovatore la parte della Zingara!». Potremmo aggiungere che non solo la parte è prima, primissima, più bella, più drammatica ma, nel nostro caso, lo è la stessa Urmana.
Infine, pochi ma dovuti accenni alla regia. Scelte tradizionali che non sbagliano – quelle della regista Bianchi che ben conosce Verdi e in questa messinscena centra tutti gli elementi principali confezionando un ottimo spettacolo a partire dalla gestione nello spazio che attribuisce alle masse corali (in particolare nell’atto II presso il convento con una divisione che contrappone specularmente le parti in rivalità dei gitani e dei cavalieri del conte) e per i singoli personaggi (soprattutto Ferrando che ottimamente si muove nello spazio come la Urmana e la Yeo che, ove gli spazi si ampliano, si inseriscono perfettamente nell’ambiente).
«Di quella pira… l’orrendo foco tutte le fibre m’arse, avvampò! Empi, spegnetela, o ch’io fra poco col sangue vostro la spegnerò!»
Il trovatore, Atto III scena 6
Lo spettacolo va in scena
Teatro Carlo Felice
passo Eugenio Montale 4, Genova
venerdì 22 e mercoledì 27 novembre, domenica 1 dicembre ore 20.00
sabato 23, domenica 24, martedì 26 novembre ore 15.00Il trovatore
Direttore d’Orchestra, Andrea Battistoni
Regia, Marina Bianchi
Scene e costumi, Sofia Tasmagambetova e Pavel Dragunov
Luci, Luciano Novelli
Maestro d’Armi, Corrado Tomaselli
Scenografo collaboratore, Leila Fteita
Assistente alla regia e coreografie, Tiziana Colombo
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Personaggi e interpreti principali
Massimo Cavalletti, Conte di Luna
Vittoria Yeo, Leonora
Violeta Urmana, Azucena
Marco Berti, Manrico
Mariano Buccino, Ferrando
Marta Calcaterra, Ines
Didier Pieri, Ruiz
Filippo Balestra, un vecchio zingaro
Antonio Mannarino, un messo
durata circa 160 min con intervalloQuesta produzione de Il trovatore è dedicata a Rolando Panerai da tutto il Teatro Carlo Felice, con affetto e riconoscenza